#VoltiDiSperanza

ÁNGEL– N.21 IL LIBRO GRATUITAMENTE


Ángel, il nuovo InstantBook in formato elettronico lo trovate qui in formato digitale, con l’introduzione del Cardinale Pedro Ricardo Barreto Jimeno S.J.

RECLUSIONE NON È SINONIMO DI ESCLUSIONE
La relazione umana, reciproca, faccia a faccia, è una delle migliori eredità che ci ha lasciato nostro signore Gesù. E credo che questa eredità, di duemila anni fa, in questi tempi molto accelerati tecnologicamente, si presenti come la più preziosa delle eredità. Viviamo in un’era, inoltre, dove la violenza umana nella società e nella famiglia non diminuisce ma, anzi, aumenta paradossalmente. E una delle conseguenze allarmanti del terrore è precisamente la paura, paura che si appropria delle nostre vite e la paura che si traduce in una disumanizzazione nelle nostre relazioni umane.

Non scrivo queste righe mostrando un pessimismo sociale e umano, bensì tutto il contrario. È il sentimento che mi invade quando leggo questo piccolo libro di Ciro Quispe López e di Luigi Ginami, che contro ogni pronostico si intitola “Ángel”. Qualsiasi lettore si aspetterebbe una storia meravigliosa, celestiale e mistica.

Tuttavia le pagine del testo svelano il contrario: una storia drammatica, inaudita ma reale. E non una, ma varie storie, che vanno dai bambini poveri della periferia di Juliaca, passando per la storia dura di una madre e le sue figlie, fino ad arrivare alla crudezza inconcepibile della vita dei detenuti nel carcere di massima sicurezza di Challapalca, a 5000 metri di altezza dove, tra le altre persone, si trova Ángel, un prigioniero classificato come detenuto di alta pericolosità. Con queste storie emerge anche lo sforzo di alcuni protagonisti di costruire relazioni umane e cristiane, fondate sull’amicizia e la vicinanza, esattamente come ci ha detto Gesù duemila anni fa. Ed è stato proprio questo ciò che ci ha ricordato Papa Francesco durante la sua visita al carcere di Palmasola in Bolivia: “Reclusione ed esclusione non sono la stessa cosa”. Questo libro parla esattamente di ciò e il mio augurio è che noi camminiamo Su questa via. Abbiamo bisogno di alimentarci di umanità in questi tempi di disumanizzazione.
Card. Pedro Ricardo Barreto Jimeno S.J.

 

 

RASSEGNA STAMPA – WEB 

IL LIBRO ANGEL ARRIVA NELLE MANI DEL PAPA
©Cristian Bonaldi
Il mio Papa, mercoledì 22 maggio 2019
Il 30 aprile mons. Ciro Quispe Lopez, vescovo di Juli in Perù, dopo aver partecipato alla Messa in santa Marta presieduta da papa Francesco, ha voluto fargli dono di un libro da lui scritto con Luigi Ginami, presidente della Fondazione Santina Onlus, dal titolo “Angel” (Edizioni Messaggero Padova, 136 pagine, 8 euro).

I due autori, testimoni oculari di una storia realmente accaduta, rivelano, attraverso le pagine del libro, la sconvolgente conversione di un uomo, molto conosciuto per gli omicidi e le corruzioni di cui è stato protagonista, detenuto dal 2012 nel carcere di massima sicurezza di Challapalca, sulle Ande peruviane a 5050 metri d’altitudine. In questo luogo dove le condizioni di vita sono disumane a motivo delle violenze, delle rigide temperature e della mancanza di acqua potabile, un fiore di speranza è sbocciato grazie alla meravigliosa storia del temuto Angel Leon Arevalo che si è convertito “non guardando al passato ma al futuro”. Nell’introduzione scritta dal Cardinale peruviano Pedro Ricardo Barreto Jimeno, viene riportata la frase che Papa Francesco disse come provocazione durante la sua visita al carcere di Palmasola in Bolivia: “Reclusione ed esclusione non sono la stessa cosa”. «Il mio augurio – prosegue il porporato – è che noi camminiamo su questa via. Abbiamo bisogno di alimentarci di umanità in questi tempi di disumanizzazione». La pubblicazione, da poco presentata al Salone Internazionale del libro a Torino, ha riscosso un grande successo. La vendita del libretto, distribuito attraverso la rete parrocchiale italiana, serve a finanziare diversi micro progetti umanitari nei posti più dimenticati del pianeta dove don Ginami si reca sovente per portare un briciolo di umanità.

IL PRETE ITALIANO CHE SFIDA I NARCOS E LI CONVERTE NEL CARCERE DI MASSIMA SICUREZZA A 4600 METRI SULLE ANDE (IL MESSAGGERO)
Venerdì 26 Aprile 2019 
di Franca Giansoldat
i

Città del Vaticano – Stavolta l’incredibile racconto (tutto vero) è ambientato in un carcere di massima sicurezza situato a 4 mila e 600 metri di altitudine, in Perù, un luogo inaccessibile sulla cordigliera, dove vengono concentrati i peggiori criminali del paese. Assassini, narcos, killer seriali. Lassù le condizioni sono semplicemente disumane. Le violenze non si contano. L’acqua potabile è razionata, non c’è riscaldamento e le temperature scendono anche fino a 20 gradi la notte. Un inferno. Amnesty denuncia da decenni la crudeltà sistematica e degradante di questo sistema. Il carcere è talmente isolato da impedire – per forza di cose – qualsiasi contatto con l’esterno. Lassù un giovane prete italiano va periodicamente a trovare i detenuti (tra lo sbigottimento generale delle autorità, perché quasi nessuno osa salire fin lassù, rischiando la vita in mezzo a quell’umanità desolata e senza scrupoli).     Lo stesso vescovo locale – un biblista da poco nominato dal Papa, Ciro Quispe Lopez – quando ha saputo che arrivava da Roma un prete e desiderava tornare a Challapaca per trovare i carcerati non credeva alle sue orecchie: Ma cosa ci fa un curiale da queste parti, a 4,600 metri d’altezza? L’impresa di per sé rischiosa è stata raccontata in prima persona del vescovo Quispe Lopez e dal prete italiano, Gigi Ginami in un libro che prende il nome da uno dei peggiori detenuti incarcerati – Angel – protagonista di una sconvolgente conversione.  «La tensione a Challapalca è ad alto rischio. Ogni giorno c’è un allerta costante. Molti dei detenuti sono assassini seriali o capi di potenti cartelli che si muovono in città come Lima, Callao, Chlayo, Truillo, Piura» dice il vescovo peruviano. Il libretto – distribuito con successo grazie alla rete parrocchiale italiana – serve a finanziare dei micro progetti umanitari nei posti più tremendi del pianeta dove don Gigi Ginami va per portare un filo di speranza e fare una sintesi editoriale in seguito. E’ successo, per esempio, per alcune regioni messicane poverissime, o in Africa dove l’Isis avanza, in Iraq a costruire pozzi di acqua per piccole comunità. Le vendite dei libretti permettono di raccogliere 2-3 mila euro: tolto il costo del biglietto aereo, con lo zaino in spalla, don Gigi parte a rendere concreta la missione.

Collezionando negli anni tante piccole storie di resurrezione silenziosa, forse gocce nel mare, ma pure sempre qualcosa di prezioso per chi ha smesso di sperare da tempo.    In Vaticano – dove don Gigi lavora – viene visto un po’ come uno un po’ svitato ma visto che è operativo e concreto lo lasciano fare. In compenso la lista di rinascite che in questo decennio ha collezionato nei posti più impensabili sono tutte documentate. L’ultima è stata a Challapaca, dove nel carcere è stata celebrata una messa nel cortile del penitenziario, dove racconta il vescovo Ciro Lopez, militari e prigionieri, sono rimasti in pace per sessanta minuti. Un record. «Lo stesso è successo durante l ‘abbraccio della pace. Era come stare in parrocchia. Mi sono fatto coraggio e anche io sono andato ad abbracciare ciascuno dei detenuti dando la pace. Don Gigi è andato a sedersi tra i detenuti senza paura né timore. Tra me e me, mi chiedevo: Che ci fa un prete venuto dal Vaticano insieme con i detenuti di alta pericolosità in questo luogo abbandonato dall’uomo? Non posso credere ai miei occhi». Il prete italiano che in spagnolo diceva loro: «Non guardate indietro guardate avanti». Tra loro c’era anche Angel Leon Arevalo, uno dei criminali più terribili del carcere. Decine e decine di omicidi alle spalle e una rete di corruzione che arriva in Bolivia. Si trova recluso a Challapalca dal 2012. Chiede a don Gigi di essere confessato. La guardia che lo controlla a vista, in assetto anti sommossa, non si sposta mai per paura che possa fare del male al prete.Vedendo la confessione però anche la guardia si inginocchia in un angolo della cella e si toglie il passamontagna. Don Gigi raccoglie le lacrime del killer. «Angel se veramente vuoi diventare un uomo nuovo e riparare il male che hai commesso, se hai denaro usalo per chi è stato tua vittima, chiedi scusa anche a loro, vivi questi anni qui in prigione offrendo il duro carcere per chi hai ucciso e torturato. Poi ci abbracciamo e recitiamo assieme una ave Maria».

AVVENIRE (GIOVEDÌ’ SANTO 18.04.19)

«ÁNGEL PERÙ, CARCERE DI ALTA PERICOLOSITÀ» (L’ECO DI BERGAMO 10.04.19)
Il nuovo libro di don Luigi Ginami
Scritto da mons. Ciro Quispe Lopez, vescovo di Juli, in Perù, e Luigi Ginami, il libro è ambientato in un carcere di rigore e condizioni estreme a 5.050 metri di altitudine dove tra i prigionieri c’è Angel, un pericoloso detenuto che vuole però cambiare vita. Luigi Ginami è un sacerdote cattolico originario di Bergamo. È presidente della Fondazione Santina Onlus, che cura progetti di adozione a distanza e realizzazioni in ogni parte del mondo. In questa veste, ha visitato più volte i luoghi più martoriati da guerre, criminalità, cattiva politica e povertà: dal Messico al Vietnam, dall’Africa al Medio Oriente. In questi viaggi e raccoglie testimonianze dirette e uniche: ospiti di grandi campi profughi, carcerati tristemente celebri, famiglie spezzate dalla violenza della guerra, sacerdoti, vescovi e suore di frontiera, uomini, donne e bambini di ogni fede accomunati dalla ricerca della pace e della dignità. In questo nuovo libro Ginami racconta la storia di conversione di un uomo molto conosciuto per i suoi delitti, ma che ha scelto una nuova strada da percorrere. Un libro collegato alle tante attività dell’Associazione Onlus Amici di Santina Zucchinelli: i proventi del libro vanno infatti a sostenere le attività dell’associazione e in particolare ad aiutare l’opera a favore dei bambini con adozioni a distanza. Luigi Ginami è conosciuto anche per un altro libro, quello sulla storia di Amina: «Amina Striscia di Gaza» il titolo. Il testo racconta di un viaggio nella Striscia di Gaza fatto dall’autore per istituire adozioni a distanza e portare aiuti all’ospedale cristiano


Ángel – Challapalca en Perù la carcel mas alta del mundo es el tema del 21mo librito de Fundacion Santina por Pascua. Proponemos aquí una larga anticipación de un libro que se publicará para la Pascua con el título Ángel, la historia de un criminal atroz en Perú que en Challapalca – la carcel de máxima seguridad a 5050 metros en los Andes del Perú – está cambiando su vida. El texto es de gran valor porque fue escrito por el nuevo obispo de Juli, quien tan pronto  decide visitar la carcel con don gigi. El texto que se muestra aquí está en el original en español, y es el intento de abrir esta página web también para los muchos amigos de Perú, México y Bolivia que nos siguen con gran afecto. Lee el texto: es realmente adictivo. Muchas gracias a Monsenor Ciro por su bondad. Os invitamos a todos a comprar el libro para Semana Santa.

PRESENTACIÓN – PEDRO CARDENAL BARRETO JIMENO, S.J. ARZOBISPO DE HUANCAYO, PERU’
La relación humana, recíproca, cara a cara, es una de las mejores herencias que nos dejó nuestro Señor Jesús. Y esta herencia, de hace dos mil años, en estos tiempos muy acelerados tecnológicamente, creo que se presenta como la más valiosa de las herencias. Vivimos en una era donde, además, la violencia humana en la sociedad y en la familia no disminuye sino aumenta paradójicamente. Y una de las consecuencias alarmantes del terror es precisamente el miedo. Miedo que se apodera de nuestras vidas y miedo que se traduce en una deshumanización en nuestras relaciones humanas.

No escribo estas líneas mostrando un pesimismo social y humano, sino todo lo contrario. Es el sentimiento que me invade al leer este pequeño libro de su S.E. Mons. Ciro Quispe López y de Mons. Luigi Ginami, que contra todo pronóstico se intitula “Ángel”. Cualquier lector esperaría una historia maravillosa, celestial y mística. Pero las páginas del texto desvelan por el contrario: una historia dramática, inaudita pero real.

                                                                               

Y no una sino varias. Que van desde los niños pobres de la periferia de Juliaca, pasando por la historia dura de una mama y sus tres hijas hasta llegar a la crudeza inconcebible de la vida de los presos en la cárcel de máxima seguridad de Challapalca, a 5 mil metros de altura, donde entre otras personas se halla Ángel, un interno catalogado como reo de alta peligrosidad. Junto con estas historias también emerge el esfuerzo de algunos protagonistas de construir relaciones humanas y cristianas, fundadas en la amistad y la cercanía, tal como nos lo enseñó Jesús hacia dos mil años. Y fue eso mismo lo que nos recordó el Papa Francisco durante su visita a la cárcel de Palmasola en Bolivia: “Reclusión no es lo mismo que exclusión”. Y este libro habla precisamente sobre esto. Y mi augurio es que caminemos en esta vía. Necesitamos alimentarnos de humanidad en estos tiempos de deshumanización.
Card. Pedro Ricardo Barreto Jimeno S.J.


CHALLAPALCA
5050 metros sobre el nivel del mar
+ Ciro Quispe López Obispo Prelado de Juli
Escuché, justo tres días después de mi consagración como obispo de Juli, que fue el 15 de diciembre el año pasado (por el momento, me consideran, el obispo más joven del Perú aunque ya tengo 45 años; en otra época no muy lejana podría tranquilamente ser contado entre los adultos que van bordeando la vejez) sobre la existencia del monseñor Luigi Ginami. Su nombre lo escuché por primera vez en un pueblito llamado San Miguel de Conima, que no tiene más de 3 mil habitantes. Y a mencionarlo no solo fue el joven párroco el padre Ángel Cáceres Ccahua sino también el Alcalde saliente del pueblo el profesor Javier Villasante Pomari. Ambos se refirieron a él muy orgullosos, como “el amigo del pueblo de Conima”. Título que se lo ganó gracias a su generosa y desinteresada ayuda. Así lo manifestaron mientras me mostraron, a la entrada del templito, un ladrillo amarillo con las insignias del Vaticano o de la Fabrica, como suelen llamar los romanos a todo el complejo de la Basílica de san Pedro en la Ciudad Eterna. Aquel ladrillo amarillo-rojizo incrustado en la pared del templito, con símbolos desconocidos para los peruanos y mucho más para los puneños que viven a casi 4000 mil metros sobre el nivel del mar, testifica hoy a ojos de la gente del lugar que él tal monseñor, venido desde Roma, ayudó económicamente para mejorar la capilla del pueblo de Conima, que es uno de los cuatro distritos abandonados de la provincia pobre de Moho. Gracias a aquella ayuda, que un día llegó como caído del cielo, pudieron pavimentar el piso de la capilla con unas hermosas mayólicas con diseños ligeros, evitando así que el barro que se arrastra en los zapatos se propague por todo el piso de este lugar santo, y además se logró techar la capilla de manera digna, evitando así las constantes y fastidiosas goteras que hacía imposible cualquier culto sobre todo en tiempo de lluvias.

         Fue allí mismo, en aquel pueblito perdido entre una de las quebradas del altiplano del Perú, a orillas del lago más alto del mundo, donde celebré mi tercera misa como Obispo de la Prelatura de Juli. Mientras celebraba aquella Eucaristía repleta de lugareños, todos ellos vestidos con trajes de fiesta donde prevalecía el color rojo indio, adornados con flores sobre todo en sus sombreros, tanto de los niños como de los ancianos, de las autoridades como de la gente del coro, me interpelaba a mí mismo. «¿Cómo es posible – decía para mis adentros – que en este lugar perdido tengan una capilla tan hermosa, limpia y moderna? ¿Cómo es posible que la gente se alegre tanto como su recibiera a un familiar o paisano suyo». Andaba impresionado con estos pensamientos, mientras resonaba en mis oídos una melodía imposible de entender. El idioma aymara es completamente distinto al quechua. Lo notaba en los cantos durante la misa. «¿Cómo es posible que una persona venga a este rincón desconocido a ayudar sin esperar nada a cambio? ¿Imposible?». Aquel ladrillo amarillo contenía la respuesta.

         Después de la Misa y después de ver a los simpáticos estudiantes del colegio Agro Industrial de Conima, que nos dieron la bienvenida bailando orgullosos una danza típica del pueblo, el párroco nos invitó a subir a su “casa”. No solo subí yo, subieron también los padres, unos siete sacerdotes de la zona Norte de la Prelatura de Juli que se juntaron aquel día para recibir al nuevo obispo. Junto con ellos subieron además las religiosas de la comunidad “Verbo y Víctima”, que hacen de párrocos en todo el sentido de la palabra desde hace… Al entrar en la casa del párroco de san Miguel de Conima, me volví a sorprender. Sus habitaciones bastante estrechas pero muy bien arregladas y limpias; cosa rara en el llamado Perú profundo. Pero aquel pequeño departamento se halla dentro de la torre del campanil de la Capilla. No había otro lugar mejor, porque los espacios no lo permiten. Pero ya es algo para una cura rural. Y esta obra, sencilla pero cómoda, era también obra del famoso monseñor venido de Roma. Allí fue donde mi curiosidad saltó e intenté preguntar sobre este nuevo personaje. Aquel día, sin embargo, me dijeron poco, digamos lo necesario: «Trabaja en el vaticano». Apenas escuché eso me dije a mí mismo en silencio, incrédulo como cualquier romano que escucharía una historia semejante: «un curial caminando por estos lares… ¡Imposible!».

         Un mes después, volví a escuchar su nombre. El Padre Inar Francisco, joven sacerdote aymara diocesano de la Prelatura de Juli, mientras almorzábamos junto con otros sacerdotes en la casa del Obispo en Juli, volvió a mencionar al enigmático monseñor romano así por así. En aquel momento, sí paré la oreja. Entonces comencé a preguntar esta vez con algo más de curiosidad y de modo más incisivo. Mencionaron cosas de un apostolado casi clandestino que ellos conocían: hablaron vagamente sobre la fundación Santina, que fue erigida en honor a su madre; de la adopción a distancia de niños y familias pobres, muy pobres que son los anónimos de estos lugares; de la construcción de un jardín para niños y niñas en la periferia invivible y fangosa de la ciudad de Juliaca, exactamente en el barrio Villa san Roman; de su visita a hospitales abandonados como sucede en el Peru profundo; de su cercanía con algunos colegios estatales pobres que aparecieron aquí y allá en las últimas décadas con una pésima infraestructura mobiliaria y humana; y además mencionaron, y eso fue lo que más me llamó la atención, de su nueva visita a la cárcel de máxima seguridad en el pueblo de Challapalca a más de 5 mil metros de altura, que alberga a los presos más peligrosos del país. Y yo, en mi interior, volvía a repetir malicioso: «Un curial dando vueltas en estas partes del Perú profundo… ¡Imposible!».

         Conocí y también escuché sobre la vida de algunos curiales romanos, mientras viví cerca del Vaticano durante algunos años mientras estudiaba en Roma y ejercitaba mi ministerio sacerdotal en la parroquia en san Pio V. Sabía de la fama que tienen los curiales, a los cuales los chancan y machacan por todos lados desde las altas esferas hasta el pueblo sencillo sobre sus virtudes no tan santas. Son famosas las llamadas de atención no solo de este último Papa sobre el carrierismo y el arribismo como lo más típico de los sacerdotes curiales. Cosas que no suceden en diócesis alejadas del mundo como la Prelatura de Juli, que se encuentra a más de 4 mil metros de altura, donde los problemas existenciales son realmente otros. La falta de oxígeno desacelera cualquier carrera. Las poses arribistas suceden en todos los centros de poder y está bien que eso suceda. Roma no puede ser la excepción. Porque es el centro de mundo, como lo dicen orgullosamente los romanos. No es muy difícil distinguir un curial. Habló entre clérigos. Y sin embargo, sabiendo todo esto, pensaba y me asombraba al escuchar aquellas anécdotas sobre el monseñor romano que pasa su tiempo, pobablemente su vacaciones, con gente anónima, sin nombre y apellido, sin face ni twiters, y sin un pan que ofrecerte. Pensaba pero no lo decía abiertamente, pero lo pensaba: «Qué hace un curial caminando por estos lares…¡Inaudito!».

         Lo pensaba pero me contenía para no expresarlo y para no malograr la reputación del monseñor aventurero. Para no agrietar su buena o justa fama que se la había ganado entre esta gente que la sociedad, el estado y el mundo los ignora. O peor, como dice el Papa Francisco, los “descarta”. Porque ni siquiera cuentan para sumar votos en las campañas electorales. Me sorprendió saber, debo confesarlo, que un curial romano se dedique a dar vueltas por estos rincones perdidos de llamado Perú profundo, en lugar de ir donde todo el mundo veranea o donde todo el mundo europeo pasa el invierno.

         El jueves 07 de febrero, el padrecito aymara Inar Francisco nuevamente me sorprendió con la noticia que soltó esta vez durante en el desayuno. Y lo dijo así por así: «llega el monseñor Luigi a Juliaca en dos días». Me extrañó la noticia. No podía creerlo. No lo sabía. Pero parece que su club de fans si lo sabía. Y en ese momento me dije: «Es real entonces la existencia del monseñor romano». Y pregunté sobre algunos detalles para encontrar una ocasión para verlo, conocerlo y saludarlo. Revisé inmediatamente mi agenda. Y uy qué pena, me topé con otro asunto, justo el día de su llegada. Al mediodía del sábado 09 de febrero tenía un compromiso serio.

El obispo de Puno, mons. Jorge Carrión, me invitó no solo para celebrar la misa de la octava de la Candelaria, la virgen más famosa de todo el altiplano peruano-boliviano, que congrega a más de 30 mil danzantes, sino también me invitó a un almuerzo muy importante. Venía a Puno el Presidente de la República del Perú. Obvio que había aceptado la invitación. Pensé que durante el almuerzo, nada más y nada menos que con el jefe de Estado, tendría una buena ocasión para comentarle sobre un proyecto que ronda mi mente desde que llegué. Hay varios templos abandonados de mi jurisdicción, o sea que ya no están al servicio del culto, y los cuales son administrados no por la Iglesia sino por el Estado, a través del ministerio de la Cultura. Y no son templos que puedes pasar por alto sino todo lo contrario. Aparecen entre las humildes montañas del altiplano como una maravilla de la arquitectura, del dominio de la piedra, del arte de la escuela Cusqueña y de la inculturación del Evangelio. Desde que puse pie en la Prelatura, me sorprendió que el mundo y más aún los mismos peruanos, no conozcan esta maravilla cómo debería. Se tiene muy abandonado y empolvado el trabajo arquitectónico de los jesuitas y dominicos de la colonia. Por eso, creo que una especie de circuito turístico haría más que bien a la humanidad, pues algunos de ellos ya fueron declarados como Patrimonio Cultural de la Humanidad. Aunque geográficamente se trata de un rincón del Perú, la provincia de Juli y la provincia de Chuquito un tiempo tuvieron su esplendor y su propio encanto artístico. Además, en este rincón del altiplano, colindante con Bolivia, al inicio del virreinato se imprimió el primer catecismo vernácular para los indígenas. Porque en Juli existió la primera imprenta de Sudamérica. También en esta provincia histórica, otro ejemplo, se acuñaron las monedas que circularon luego en todo el territorio del Virreinato. Esto por la cercanía a las minas de plata. Por eso, este ángulo olvidado del Perú profundo, lleno de enormes templos majestuosos, ha sido conocido como la “Roma de los Andes” o “La Roma de América”. Pero volvamos a nuestro tema.

         Como sabía que no podría ir al aeropuerto, dejé un mensaje oral a monseñor Luigi por medio del WhatsApp del padre Inar, excusándome de mi falta de tiempo. Pero el Señor quiso que las cosas sucedieran de diversa manera. Un día antes del día previsto de la llegada del Presidente Martín Vizcarra a Puno, el sur del Perú sufrió otro enésimo desastre natural. Las intensas lluvias, más cargadas de lo habitual, causaron tremendos huaicos en valles como Coalaque y desbordaron ríos como el Tambapalla, lugares que se encuentran como a 400 o 500 kilómetros de Puno. Las intensas lluvias de este año ya provocaron varios desastres, como lo pueden testificar los departamentos de Tacna, Moquegua y Arequipa. Más de 1500 damnificados fue el saldo de estas lluvias, solo en es par de días. Éstos perdieron familiares, casas, terrenos y animales. El Presidente de la República no podía no ir a ver las calamidades que son fruto del cambio climático, como muchos medios lo afirman. Por estos motivos graves, clausuró su llegada a la ciudad de Puno.

         Fui entonces al aeropuerto de Juliaca. No sé si también es el aeropuerto más alto del mundo, aunque su similar de la Paz se halla casi a la misma altura. Fue allí donde le saludé por primera vez a monseñor Luigi. Apenas llegó nos trasladamos a casa de Olinda, la señora aymara que atendió en Italia durante varios años a la mamá del monseñor Luigi. El almuerzo fue más que inolvidable. Compartimos experiencias y vivencias. Y a un cierto momento me mostró entre otras cosas su reliquia preciosa que lo lleva por doquier. Una misteriosa y preciosísima Biblia. Que además de la Palabra de Dios alberga mensajes escritos tan significativos que van desde frases autografiadas, por ejemplo, por el cardenal Carlo María Martini y por algunos Papas últimos hasta mensajes íntimos escritos por los peores delincuentes que andan recluidos aquí y allá, como el preso Caracol o el viejo Paco, un asesino que carga sobre sus espaldas la vida de más de 300 personas. Su Biblia es un libro maravilloso que descifra la personalidad de Luigi, su sólida fe, su profunda confianza en el otro y su convicción por el misterio saludable de la relación humana. Aquel día, después del almuerzo no solo me describió su apretada agenda sino que además me invitó a ir junto con él a la cárcel de máxima seguridad del Perú, que se halla mil metros más arriba de Juliaca. Aquella cárcel es famosa en el Perú, porque no solo se encuentra en un lugar desértico entre las montañas que impide cualquier posible fuga, sino que además no llega allá ninguna red ni ningún medios de comunicación, se vive sin calefacción y sin agua potable, y ni que hablar de las mínimas comodidades o de la escasa asistencia sanitaria básica. Los que llegan allá como convictos, deben soportar entre otras cosas las inclemencias del clima a 5 mil metros de altura, que en invierno baja a menos 20 o menos 30 grados.

         Así fue como algunos días después nos levantamos en Juli a las 5 de la mañana, mientras que Luigi tuvo que levantarse como a las 3 de la madrugada, porque era huésped en Juliaca. Nos encontramos a las 6 am en Ilave, en una de las parroquias más grandes de mi Prelatura, cuya población es de 40 mil habitantes aproximadamente, pero territorialmente se ve semidespoblada. La densidad es mínima en estas partes. Recorrimos como 4 horas y algo más en las dos camionetas que alistamos para la ocasión. 4 horas pero siempre dentro de la misma parroquia; aunque la cárcel se encuentra en Tacna, otro departamento del Perú, y pertenece a otra jurisdicción eclesiástica. Mientras recorrimos la ruta, me di cuenta que el lugar es inhóspito e interminable, como las imágenes de aquellas películas del lejano Oeste.
Casi todo el recurrido es carretera, o sea, una pista sin asfalto. El polvo y los charcos frecuentes no es que anime mucho trasladarse por aquel lugar. Sin embargo la naturaleza recompensa el esfuerzo (Solo un detalle al respecto. En el Perú las distancias no se miden por kilómetros sino por tiempo, a diferencia del cálculo europeo. Las distancias pueden ser breves. Pero el camino sinuoso y abrupto condiciona la velocidad del viaje, aunque se vaya en la mejor camioneta. Por ejemplo, de Lima a Cusco hay como mil kilómetros de distancia, que en avión solo es necesario una hora; en cambio en bus o camioneta o auto se requiere casi 20 horas de viaje y a una buena velocidad. Sucede lo mismo de Ilave a Challapalca, que son solo 150 kilómetros de distancia. Sin embargo se necesitan 4 horas de viaje y algo más). Por otro lado, nuestro viaje se volvió más lento a causa de las lluvias que nos tocó soportar. En los andes del Perú solo existen dos estaciones muy bien marcadas a diferencias de las cuatro estaciones tradicionales. La época de las lluvias, donde todo aparece como un hermoso jardín con distintas tonalidades de verdes; y la época de la sequía, donde todo se vuelve de color amarillo monótono y árido. Y la única planta que abunda en estos páramos es el ichu, que es el alimento privilegiado de las llamas y alpacas, y que además es útil para la construcción de las casas, para los techos, para la fabricación de cordeles indestructibles, etc.

         Después de más de 4 horas, divisamos a lo lejos una inmensa estructura de cemento y calamina, pintando también monótonamente. Era la cárcel de Challapalca, en medio de la nada y a orillas de un río cuyo nombre nadie me lo supo explicar y que presumo se llama igual que la cárcel de máxima seguridad. Llegamos en dos camionetas, como lo acabo de mencionar. En la nuestra veníamos además de monseñor Gigi, el padre alemán Vicent… quien es el encargado o el capellán de las cárceles del altiplano que no son pocas (); venía además el padre José Luis que trabaja en la parroquia en la cual nos movilizábamos y un futuro seminaristas quien manejaba la camioneta. En nuestra camioneta, llevábamos asimismo no solo los ornamentos e instrumentos para la misa que celebraríamos en la cárcel junto a los presos sino también un regalo sencillo que no eran sino unos calcetines apropiados para el frío. «Algo es algo», como dijo uno de los internos. Les compré además cuatro pelotas deportivas de futbol y de vóley; dos para los reclusos y dos para las personas encargadas del control. Y en la otra camioneta, iban las autoridades del INPE (Instituto Nacional Penitenciario del Perú) y una familia de amigos de don Luigi. Como todo estaba organizado, como debe ser y es parte del protocolo, nos esperaban a la puerta del ingreso de la cárcel dos filas de militares, que poseen una base junto a la cárcel, miembros de la Policía Nacional del Perú y personal del INPE, quienes tiene la difícil tarea de velar por la paz de este pequeño infierno humano compuesto de 170 internos. Aunque no son demasiados, mantienen en vilo a las autoridades día tras días.

         No sé si existe en el mundo otra cárcel tan alta como como ésta. Los del INPE nos manifestaron que uno de los objetivos con el cual se construyó este predio fue para que los reos – estos hombres considerados de alta peligrosidad para la sociedad – vivan el “castigo” por sus actos. Y parece que este objetivo si se cumple. Lo vi y lo revelan sus rostros y miradas. Sus expresiones de la mayoría de ellos desvelan precisamente eso, un rencor o un odio agresivo hacia el sistema. Ellos mismos se dan cuenta que la culpa no es del policía o de la seguridad que trabaja allá, que a su vez también sufre un cierto castigo laboral. Y se entiende, por la manera como están hacinados en un cuarto repleto de camarotes, sin calefacción, ni agua potable ni mucho menos una terma. Vi el reservorio de agua que ellos tienen para el uso personal. El color marrón oscuro lo decía todo. Es verdad, entonces, se trata de un sistema completamente inhumano, que aunque se trate de personas catalogadas como reos de alta peligrosidad, también se requiere un mínimo de comunidad para los reos y el mismo personal de seguridad. Dicho de otro modo, aunque una cárcel tenga entre otros objetivos el de proteger al ciudadano de personajes peligrosos y de separar al convicto de la sociedad, también se espera que el reo pueda ser reeducado – salvo los de cadena perpetua – para que vuelvan a transitar por las calles de las ciudades sin que provoquen miedo y sin que los miren con miedo. Pero si el sistema no colabora en eso, lo que acabo de mencionar será siempre una mera hipótesis de buena fe.

         Pero basta darse una vuelta por las 69 cárceles que existen en el Perú para refutar esta hipótesis. El presupuesto peruano para mantener la población carcelaria (casi 100 mil internos en la actualidad) es demasiado bajo. Se gasta algo así como un euro, por día, para que cada preso tenga desayuno, almuerzo y comida. De las 69 cárceles, solo en 20 de ellas se halla un botiquín aunque los insumos son menos que mínimos. Lamentablemente Challapalca no se encuentra en la lista de aquellas 20 afortunadas cárceles, a pesar de vivir a 5 mil metros de altura, donde la población más cercana de allá a varias horas de distancia. Imagínate, querido lector, una cárcel sin las atenciones médicas básicas, sin los controlares sanitarios periódicos, donde las enfermedades cotidianas e incluso sexuales, la promiscuidad como el riesgo alto de contagio a los familiares no son un decir; esto sin mencionar los problemas de salud inherentes a la altura, como la falta de oxígeno, la presión alta, la circulación de la sangre, el edema cerebral o la oxigenación del cerebro, etc. Varios de ellos, piden pagar sus penas en otras cárceles. Suplican su reubicación. Por ellos y por sus mismo familiares que deben hacer toda una travesía para poder llegar hasta el desierto andino de Challapalca. Y lo increíble de esta situación no solo afecta a los hombres malos que cumplen condena por sus faltas sino también a los militares de la zona, a la policía de turno y al personal del INPE.

         Aunque en Challapalca – por otro lado – no existe un hacinamiento degradante como sucede en otras cárceles peruanas incluso de la misma zona. Por ejemplo el INPE – PUNO controla otras 3 cárceles además de la de Challapalca: La cárcel de Lampa con 167 internas, más de 12 son extranjeras; pero que su capacidad normal es de 45 personas. La cárcel de la Capilla de Juliaca con 1400 internos, aunque su capacidad es de casi 400 personas. Y la cárcel de Yanamayo con 800 internos, el doble de su capacidad, aunque su reputación es mejor por su buena organización y su buena capacidad de producción en sus diversos talleres. Sin embargo, la tensión vivencial interna de los presos de Challapalca es de alto riesgo. Cada día – nos dijo el director del centro penitenciario – se debe pensar a un estado de alerta constante. Muchos de los reos son asesinos en serie o son cabecillas de mafias y de bandas peligrosas homicidas que se mueven en ciudades temerarias como Lima, Callao, Chiclayo, Trujillo, Piura, que son ciudades costeras, de donde procede la mayoría de los reos. El cambio de hábitat es brutal. A los ojos de cualquier visitante, la vida inhumana se ve desde que uno se aproxima entre las quebradas de las montañas que la cobijan. Lo es también a ojos de las personas de buena voluntad que luchan por los derechos humanos y por la clausura de este centro penitenciario. Una de ellas, aunque se podría mencionar otras iniciativas, fue la Vicaria de la Solidaridad, que por cosas de la vida, ahora es la ONG “Derechos Humanos y medio ambiente”. Hizo lo mismo la OEA, que señaló que el lugar no es habitable ni para los internos ni para el personal de seguridad. Ellos fueron escuchados. Se cerró la cárcel por un período pero luego se volvió a abrir y funciona tal como lo acabo de describir.

         Contaba que nos acogieron muy bien uniformados, los militares, la policía y el personal del INPE. Y luego de los controles respectivos, en uno de los patios principales ya nos esperaban sentados la mitad de los presos. Junto con nosotros entró un buen número de militares, muy bien armados que rodearon a los presos y además observé que en el tejado del edificio había dos franco-tiradores. Nos advirtieron mantener no solo la calma sino también la distancia. “Ellos le pueden capturar y tomarlo por rehén”, me advirtió el personal del INPE. “Y no es broma. Lo hicieron hace un mes”. Obvio que el susto emerge en todo tu cuerpo. Alistamos la pequeña mesa para el altar e improvisamos algunos cantos con un par de mujeres del INPE que conocían cantos religiosos. Fue mi primera misa como obispo en una cárcel y mi primera misa concelebrada con un curial romano. Celebré la misa con un cierto aire de temor y alerta, cuidando la distancia recomendada. Pero a medida que procedía con la celebración mis nervios se relajaban y mi miedo desaparecía. La homilía la hice casi con total desenvoltura porque mirando el rostro de los presos no vi aquel peligro amenazante que lo suponía. Dije que siempre una misa provoca milagros, como el que estaba sucediendo delante de mi vista.


“En un mismo patio, militares y presos, en paz por una hora”. Un milagro de la Eucaristía. Lo mismo sucedió durante el abrazo de la paz. Era como estar dentro de una parroquia. Por eso me anime y rompiendo el protocolo también fui a abrazar a cada uno de los presos dándole la paz del Señor. Por eso, creí que las palabras más apropiadas para ese momento y para ese lugar y para esa condición de vida, era aquellas que dijo el Señor Jesús: “No mires atrás, mira hacia adelante”. Pero mucho más canchero que yo, fue monseñor Luigi. Él ya es “caserito” en este lugar. O sea un cliente fijo y conocido. No solo vi su cercanía hacia ellos, la manera como los abrazaba y el modo cómo ellos lo abrazaban y le saludaban. Mientras celebré la Misa, Luigi se fue a sentar junto con todos los presos sin ningún miedo ni temor, como otros más. Y yo desde el altar, mirando la escena hermosa, me preguntaba de nuevo y decía: “Qué hace un curial romano sentado como uno más junto a los presos peruanos de alta peligrosidad en este lugar abandonado por los hombre… ¡no puedo creer lo que ven mis ojos!”. Y lo que provocó que salieran algunas lágrimas de mis ojos fue otra escena mucho más cristiana y mucho más redentora. Luigi llamó a dos presos, los puso delante de todos. Les dijo varias cosas entre ellas que en ese momento también ellos son otros Cristos que sufren por lo que la vida les tuvo reservado. Y por eso, también ellos tienes esperanza de redención. “Ni miren atrás, miren hacia adelante. Porque hay gente, como vuestras familias, que los esperan”. Y además, ellos deben aprender a vivir como hermanos, al menos no deben matarse unos a otros. Y les hice prometer en grupo y a voz alta. Y él como parte de esa alianza fraternal les beso los pies a los dos presos que estaban parados delante de todos, a la vista de los presos más peligrosos y a la vista de los militares que deben cuidarlos. Y mientras me salía más de una lágrima, me preguntaba: “¡Qué hace un curial romano en este lugar!” “No es increíble”. Gracias Gigi.