#VoltiDiSperanza

NASREN – 8: IL LIBRO GRATUITAMENTE


Ecco disponibile in formato elettronico e gratuito il nostro Instant Book dal titolo NASREN. Esso contiene Prefazione di S.E. Mons. Nunzio Galantino, Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana .

Puoi leggerlo gratuitamente qui: 
 
MARIA E NASREN: UN’INFANZIA COLPITA DA VIOLENZE E SOPRUSI DI S.E.MONS. NUNZIO GALANTINO
 Una cassetta di frutta in plastica nera che funge da culla. Adagiata al suo interno, con tanti stracci puliti al posto del materassino, una bimba bellissima, terzogenita di una famiglia yazida. Ero in visita a uno dei tanti luoghi di fortuna (un vecchio albergo diroccato) nei quali, dopo l’agosto 2014, sono state accolte famiglie cristiane e yazide cacciate dalla Piana di Ninive dai miliziani dell’ISIS, uomini fanatici e violenti in nome di una religione e di un dio che esiste solo nelle loro menti contorte e volgari. L’elemento base della religione yazida della famiglia incontrata è costituito da credenze di chiara origine iranica che consentono di stabilire un rapporto tra il gruppo yazida e lo Zoroastrismo, dove si innesta l’islamismo settario, sufico, contaminandosi a sua volta con credenze cristiane ed ebraiche.
Se vuoi leggere il pdf puoi cliccare sull’immagine qui sotto riportata dell’ Edizione del quotidiano L’ECO DI BERGAMO di DOMENICA 4 GIUGNO 2017
Ero accompagnato da Padre Samir, ricordato da don Gigi come compagno di viaggio in alcuni degli spostamenti raccontati in queste pagine. Dopo i primi convenevoli, Padre Samir, rivolgendosi a me, dice in italiano: “Don Nunzio, i genitori della bimba vogliono chiederti una cosa molto bella”. Lo guardo incuriosito e domando: “Che cosa?” “Vogliono darti l’onore di scegliere il nome per la loro piccola. È nata solo da alcuni giorni e non hanno ancora deciso”. Tra il sorpreso ed il felice per questa opportunità, non ho dubbio: “Maria”, il nome della mia mamma. Felici, loro, per questo motivo. Ma felici anche perché, spiego, alla stessa mia mamma quel nome era stato imposto per devozione alla Mamma di Gesù. Il parroco traduce e il volto dei genitori si riempie di sorriso nella loro risposta. “Sì, Padre, ci piace molto, si chiamerà proprio Maria! Grazie per quello che fate per noi”.
 
In Iraq ho lasciato con quel nome anche un po’ del mio cuore, soprattutto nei riguardi dei bambini che sono le vittime più colpite dalla guerra, dalla violenza, dalla privazione e dalla sofferenza.
Le strade, i luoghi e gli scenari dei quali si parla in queste pagine sono strade, luoghi e case che, come la casa nella quale ho incontrato la famiglia di Maria, ho in parte percorso anche io. Per quei luoghi e per quelle case – grazie all’8×1000 destinato alla Chiesa Cattolica – come Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana e quindi a nome dei Cattolici italiani, c’è l’impegno a farli rivivere e restituirli a un’auspicata normalità, fatta di lavoro e di tradizioni religiose belle e tenaci. Non è un caso se tanti uomini e tante donne, pur di non tradire la loro fede, abbiano trovato lì la morte o da lì siano fuggiti. Sono anche i luoghi dai quali proviene una bibbia in arabo, sfuggita alla furia violenta e distruttrice dell’ISIS, recuperata nella Chiesa di Um Al Mauna di Mosul e regalatami da don Gigi. La custodisco come una preziosa reliquia. Mi fa sentire infatti vicini i racconti che attraversano questo libretto dedicato a una ragazzina yazida di nome Nasren, che oggi vive nel campo profughi di Dawidiya a 70 chilometri da Mosul. Mentre scrivo questa Introduzione, si sta ancora combattendo per la conquista della parte destra della città da parte dell’esercito iracheno. Sono contento di presentare la storia di Nasren. Una storia di dolore e sofferenza. Nasren infatti è affetta da “Disturbo post-traumatico da stress” (DPTS). Altro non è che la conseguenza delle forti sofferenze psicologiche che accompagnano un evento traumatico, catastrofico o violento. Nel caso di Nasren l’evento che l’ha scatenato è stato l’incontro con gli uomini del Califfato nero e la fuga dalla propria abitazione per scampare alla morte. In Nasren il DPTS ha una manifestazione particolarmente grave perché era una bambina di 11 anni, nell’agosto 2014.
 

L’instant book che presento non parla solo di Nasren, ma colloca la sua vicenda di dolore nel Kurdistan travagliato dalla situazione di migliaia di profughi che vivono in condizioni precarie. Si parla di Dawidiya Refugee Camp, si descrivono i momenti tutt’altro che tranquilli di una Celebrazione Eucaristica in una chiesa distrutta da Daesh nella città di Mosul, c’è spazio per descrivere una prigione di donne, voluta dall’ISIS, dove venivano recluse le donne yazide in attesa di essere vendute al mercato della città.
Il tema dei profughi perseguitati, di un’infanzia colpita da violenze e soprusi; il tema della mancanza di dignità della donna riempiono le pagine di questa piccola pubblicazione per una lettura che non domanda tanto tempo ma richiede tanta passione. Pensando alla piccola Maria e a Nasren, vittime di soprusi e di guerra mi tornano alla mente le parole pronunciate da papa Francesco in occasione della preghiera dell’Angelus, il 27 luglio 2014: “Fratelli e sorelle, mai la guerra! Mai la guerra! Penso soprattutto ai bambini, ai quali si toglie la speranza di una vita degna, di un futuro […]. Bambini che non sanno sorridere”.
Il libretto che don Gigi ci propone vuole essere un seme di speranza per questa infanzia, affinché questi bambini tornino a sorridere. Un seme di speranza che, gettato, possa permettere di raccogliere un futuro più dignitoso. Me lo auguro per Maria e per Nasren, ma anche per tutti i bambini del mondo, come per una piccola bimba africana con una mamma sieropositiva di nome Santina, in onore proprio di Santina Zucchinelli, la madre di don Gigi da cui la fondazione – che propone la collana #VoltiDiSperanza – prende nome.

S.E. Mons. Nunzio Galantino

 CHI STA CON DIO. IL VERO CORAGGIO DEGLI UOMINI DI FEDE (EDITORIALE DI AVVENIRE DEL 31.05.17)
di Marina Corradi
Sulle nostre pagine di oggi sono registrate le testimonianze di due uomini. Di un sacerdote italiano da Mosul, e del vescovo di Bangassou, nella travagliata Repubblica Centrafricana. Le troverete tra le tante altre notizie del giorno: elezioni, Germanellum, taglio di posti di lavoro, i 13.600 cannoni di Kim Jong-un schierati contro la Corea del Sud. Ma queste voci dall’Iraq e dal cuore dell’Africa portano come un marchio diverso. Le si legge con crescente stupore. Don Luigi Ginami, presidente di Fondazione Santina onlus, va a Mosul da Erbil in auto con un accompagnatore, Ivan, per rendersi conto della situazione dopo la sconfitta del Daesh. Li fermano ai check point, Ivan toglie la sicura a un’arma nera che riluce nel cruscotto Il sacerdote la fissa con sgomento. 
Entrano a Mosul e attraversano un povero affollato mercato. Il Daesh se ne è andato, ma alle finestre potrebbero esserci dei cecchini. I due entrano in una chiesa, la croce del campanile divelta, la porta cigolante e malridotta. Sussultano a ogni passo, ma questi sono bambini. Padre Ginami prende in braccio il più piccolo. Un’altra chiesa. Bisogna camminare con cautela, potrebbe esserci dell’esplosivo sotto al pavimento. L’altare è rimasto di nudo cemento, spogliato dei marmi. Il sacerdote lo ripulisce dalla polvere, dispone il pane e il vino. «Ci pensate? – scrive –. Gesù torna a Mosul». Forse la prima Messa, dopo la furia del Daesh.

Un primo segno: i cristiani cominciano a tornare. Passi, di nuovo, di nuovo paura. È un giovane soldato. «Padre, sono cristiano, posso partecipare alla Messa?». Un lungo, interminabile abbraccio fra i due. Da Bangassou invece monsignor Juan José Aguirre Muños, vescovo della città, racconta di avere accolto nella missione cattolica, fra le stanze del seminario e la cattedrale, duemila concittadini musulmani in fuga dai miliziani anti-Balaka che nei giorni scorso hanno attaccato il quartiere islamico della città, depredando e uccidendo. Questi anti-Balaka sono gruppi cristiani fondamentalisti, formatisi in reazione alle violenze perpetrate contro la popolazione cristiana dai Seleka, altro gruppo armato. Ma gli anti-Balaka ora, dice il vescovo, sono perfino più spietati degli avversari. E testimonia di avere assistito al rapimento di una madre di cinque figli, poi uccisa con i suoi bambini. Ti figuri l’inferno di una guerra civile africana, e questo vescovo che spalanca le porte della cattedrale ai musulmani in fuga, come un padre che apra le porte della sua casa. Che storie vengono dal fondo di altri, imbarbariti mondi, che grandezza di cuore in due religiosi che non temono di mettere a rischio la loro vita. Pensi al nostro mondo quotidiano, al rumore inutile, alle parole al vento, a quanti digitano su Facebook invettive contro i migranti o l’islam in toto. E laggiù a Bangassou, nella ferocia di una faida in verità alimentata dai Paesi limitrofi per questioni di potere sulla regione, quell’uomo con la croce sul petto, che apre la sua casa a povera gente in fuga, vecchi, madri con i bambini aggrappati alle gonne. A Mosul, svuotata come una voragine dall’odio anticristiano, quelle serrature arrugginite di chiese che si riaprono su navate spoglie, depredate, coperte di polvere di macerie. E un prete innalza il pane e il vino, e si commuove: Cristo è tornato a Mosul. E abbraccia uno sconosciuto soldato, che domanda quel pane. Bisogna leggerle, queste testimonianze di oggi, e fermarsi un attimo, zitti, a pensare. A contemplare la fede che promana da questi racconti di uomini di pace. Senza, magari, scrivere al volo su Facebook un commento superficiale. Trattenere in sé, invece, meditare su quelle porte spalancate, su quel pane e vino su un altare di nudo cemento, su quell’abbraccio fra cristiani e comunque tra fratelli. È un’altra storia, un’altra dimensione quella che scopri fra le righe di queste corrispondenze da remoti devastati Paesi. La grande forza di uomini di pace; dal fondo dell’inferno, il loro fedele testardo esserci, tra le armi e il sangue e i feriti e gli abbandonati. Nel frastuono del male, la sommessa voce buona di due uomini di Dio. (per leggere editoriale in PDF clicca su immagine sottostante)

 IRAQ. A MOSUL DOPO IL DAESH SI TORNA A DIRE MESSA (ARTICOLO DI AVVENIRE DEL 31.5.17 A P.4)
Luigi Ginami * mercoledì 31 maggio 2017
* Sacerdote, presidente Fondazione Santina Onlus
Rinascita a Mosul: «Gesù è tornato fra queste macerie». In viaggio da Erbil fin dentro la metà liberata della «capitale» dei jihadisti
Pubblichiamo una anticipazione di «Nasren» (Ed.Velar Marna), istant book scritto durante il viaggio dell’autore in Iraq. Una missione umanitaria per inaugurare delle aule di catechismo, ristrutturate dalla Fondazione Santina Onlus, ad Araden. In quei giorni, nel campo profughi di Dawdya, pure l’incontro Nasren, yazida di 11 anni che racconta con gli occhi di una bimba l’irruzione dei terroristi del Daesh nel suo villaggio. Quello di seguito è un estratto dal capitolo «Mosul», scritto a poche centinaia di metri dal fronte. Partiamo presto da Erbil. È venerdì, la strada è completamente libera.

Arriviamo al primo dei numerosi check-point. Ivan parcheggia la grossa jeep. «Torno subito padre, ma per ogni evenienza sappi che qui nel cruscotto vi è una pistola!» Il cruscotto è lì che mi sfida: apro. È vero! «Tutto in ordine, quando hanno visto che tu eri un sacerdote ci hanno subito concesso il permesso ». Partiamo. Venire a Mosul? Tutti hanno sconsigliato! Perché? Perché? Perché? La domanda diventa ritmica mentre le prime immagini della città si presentano agli occhi. È un grande mercato. La macchina nera rallenta. Ivan prende la pistola. «Vedi questa gente? Loro non ti faranno nulla. Ma tra di loro, a qualche finestra potrebbe esserci un cecchino». Rimango senza parole. Piano piano la grossa vettura esce dal mercato. Ivan rimette la sicura alla pistola e la richiude nel cruscotto. Ora invece i militari non la devono vedere. Siamo nella parte sinistra della città, divisa in due dal Tigri. La prima chiesa che visitiamo ci sta davanti: la croce è divelta dal campanile. Una porta arrugginita si apre. Ivan mette l’arma sotto la camicia dietro la schiena e nuovamente mi spavento. Un uomo con il volto sorridente ed accogliente ci saluta. Salgo le scale sconnesse e visibilmente rovinate. Ma mentre avverto la furia di Daesh, dei piccoli bambini mi corrono incontro con dei grandi sorrisoni. Si avvicinano. Sollevò il più piccolino alla mia guancia e lui si accoccola comodo comodo e pacioso.

La chiesa è pulita, ma vuota… Il bel marmo viene staccato con cura e messo in ordine per la vendita. «Padre dobbiamo andare», mi pressa Ivan. Dopo aver visitato la chiesa dedicata allo Spirito Santo, andiamo alla chiesa dedicata a San Giorgio: i militari, questa volta, non ci danno il permesso. È una zona strategica. Regaliamo due bottiglie di acqua ai giovani militari al caldo dei 40 gradi e Ivan mi porta a vedere un’altra chiesa. «Quando quel demonio del Daesh si è ritirato, ha lasciato cariche di dinamite nascoste. Basta urtare male una pietra che salta in aria tutto». Entriamo: il pavimento è spoglio e liscio, una enorme lastra di cemento armato. Nessuna bomba può essere qui. «Bene padre tu aspetta qui, faccio un giro attorno per essere sicuro. Tu prepara per la Messa, celebreremo qui». Con un fazzolettino di carta pulisco l’altare dalla polvere, una lastra di cemento spogliata dal marmo, pongo sull’altare il mio caro ed inseparabile Vangelo aperto e pongo il pane ed il vino. Ma ci pensate? Gesù tornerà a Mosul.

Forse è la prima Messa che si celebra qui dalla liberazione del Daesh. Un brivido ritorna prepotente, forse provocato dal rumore di un elicottero che si avvicina ed inizia a mitragliare. Se ne va, più lontano odo il rumore del conflitto a fuoco. E Gesù? Verrà qui tra poco… È la voce di Ivan ad interrompere il mio pensiero. «Padre qui non abbiamo molto tempo. Celebra bene la Messa con devozione e calma ma cerca di non essere troppo lungo…». Prego per la città, per i cristiani, per Ivan, per i morti, per coloro che sono feriti o che stanno morendo proprio durante questo nuovo sacrificio di Gesù sulla croce. «Prendete e mangiate questo è il mio corpo, questo è il mio sangue». Mi inginocchio e mi fermo in adorazione. Da lontano qualcuno arriva. Istintivamente mi dico: devo proteggere questo tesoro prezioso che è la divina Eucaristia, male che vada subito mangio e bevo… Ivan mi dice in inglese stai calmo e soprattutto fermo. Lui si blocca e con voce calma e tranquilla saluta il giovane. Il giovane guarda incuriosito e chiede: «Ma state dicendo Messa?». Ivan risponde di sì e il ragazzo con un grande sorriso chiede: «Posso partecipare anche io? Sono cristiano. Sono un soldato dell’esercito iracheno». Avrà 22 o 23 anni, il mio forte abbraccio lo riempie di gioia e mi dice: «Abuna», padre. Mi viene in mente una frase bellissima di Gesù: Dove due o tre sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro! Lo benedico. La Messa è finita. Sto mettendo via il Vangelo, quando Ivan mi porta ad una finestra, dove da lontano si vede una croce. «Si padre e l’ho portata io con altri tre amici musulmani. È alta tre metri e larga due, di legno, sulla cima di quella collina e ogni volta che vengo a Mosul, quando la guardo mi dà forza e coraggio». Lo guardo negli occhi. Che coraggiosa iniziativa, se ne vuoi portare un’altra in futuro… Ti darò una mano. (Se vuoi leggere in formato PDF l’articolo clicca sulla immagine qui sotto riportata)