QUATTORDICI PUNTI
Bergamo, 6 – 13 settembre 2024
Wouuu, ma è bellissimo: vedo che non perdi il tempo, scrivere sul foglio quanto è accaduto, quando tutto è ancora fresco mi sembra molto intelligente Bravo!
Blanca Casillas Sillo
Grazie per aver creduto, credere in me e soprattutto grazie perché la bellezza del tuo vivere é scuola per chi ti incontra e ti é vicino. Il tuo esserci è Vita. Un abbraccio buona serata
Annalisa Rota
PREMESSA. LA FERITA È IL LUOGO DA DOVE ENTRA LA LUCE
Inizio il mio scritto con una poesia di un autore persiano che mi piace moltissimo: Jala al Din Muhammad Rumi, nato a Balk il 30 settembre 1207 e morto il 17 dicembre 1273, è teologo musulmano sunnita e poeta mistico persiano centrasiatico, conosciuto come uno dei massimi autori della letteratura mistica persiana. Ho conosciuto questo antico autore a Istanbul attraverso Esma, una cara amica musulmana turca, con la quale condivido una grande amicizia. Mi ricordo l’introduzione da lei scritta al mio libretto Diana sull’Iraq, in cui diceva: “Da tempo conosco Gigi e siamo buoni amici, ci vogliamo sinceramente bene pur appartenendo a due religioni diverse, parlando lingue diverse e provenendo da due Paesi diversi. Infatti io sono di Istanbul, sono musulmana e la mia lingua madre è il turco; a Roma abito per lavoro ormai da anni ed in questi anni sono diventata buona amica di Gigi: la nostra diversità religiosa non ci divide, ma ci arricchisce e nella nostra amicizia sistematicamente cerchiamo sempre e solo quello che ci unisce, mai quello che ci divide: avviene così nel tempo che passiamo insieme da un caffè alla cena o ad alcune ore di tempo libero…” e quello che mi unisce a Esma Cakir oggi è proprio la poesia di Rumi che Esma mi ha fatto conoscere. Ecco il significato del bel pezzo poetico che vi propongo a premessa del mio testo. E’ uno scritto di ormai centinaia di anni fa: quelli che sembrano avvenimenti negativi, potrebbero invece trasformarsi in opportunità, opportunità per vedere quella luce che altrimenti non vedremmo. Per definizione la luce è quell’agente naturale che rende le cose visibili, quante volte è successo qualcosa di non positivo che ti ha portato a rivedere aspetti della tua vita che tu davi per scontato o che non hai mai apprezzato realmente? Prova a pensarci Ed ecco il testo.
Quello che fa male, ti benedice. L’oscurità è la tua candela.
Dove c’è la rovina, c’è speranza per un tesoro.
Non allontanarti. Mantieni il tuo sguardo su quel posto fasciato. E’ lì che entra la luce dentro di te.
ll dolore può essere il giardino della compassione. Se mantieni il tuo cuore aperto a tutto ciò, il dolore può diventare il tuo più grande alleato nella ricerca di amore e saggezza.
Continua a rompere il tuo cuore, fin quando non si aprirà.
RUMI
QUATTORDICI PUNTI
Maurizio Caminito in un suo articolo (“Profili, selfie e blog, la forma del diario nell’epoca di internet” LiberWeb 104 pp.39-40 2014) parla del valore del “diario interiore” che si è perso di vista a favore dei “social”. Caminito sottolinea come il diario tradizionale, inteso come strumento di introspezione e ricerca di sé, stia mutando in una rappresentazione di sé costruita artificialmente e rivolta agli altri. L’autore osserva che il diario digitale diventa un mezzo per affermare ciò che si vorrebbe essere, piuttosto che raccontare ciò che si è veramente. La ricerca di approvazione e giudizio da parte degli altri rischia di sostituire la ricerca di sé attraverso il racconto della propria esperienza interiore. Caminito mette in evidenza come la rivoluzione digitale stia trasformando profondamente il concetto di diario, spostando l’attenzione dall’introspezione e dalla ricerca di sé all’affermazione di un’immagine idealizzata di sé stessi rivolta al pubblico online. Dunque, il diario, un tempo luogo di intimità e autenticità, si è trasformato in uno strumento di autopromozione e costruzione di un’immagine pubblica, spesso lontana dalla realtà interiore dell’individuo. Oggi si riversa tutto quanto si vive nei social, lo si fa in modo compulsivo: è un tornado di emozioni che si esternano ancora prima di averle profondamente vissute e sedimentate. Questa pagina vorrebbe cercare di essere pagina interiore sedimentata e poi resa pubblica ma con l’intento di verificare il proprio vissuto, nell’intento di meditarlo alla luce della Parola di Dio e quindi umilmente proporlo perché possa fare bene a tanti altri. Da una settimana vivo, anzi sopravvivo con il cellulare spento e se da una parte si sente la mancanza dall’altra ci si accorge della libertà interiore che il silenzio e la solitudine regalano. “La Sapienza dello Scriba si deve alle sue ore di quiete” (Sir 38,24). Questo versetto me lo aveva regalato il Cardinale Carlo Maria Martini nel lontano 2005 e spesso in questi ultimi tre anni lo medito ed è fonte per me di pace. La quiete è un elemento importante per gustare la vita ed esaminare accuratamente l’esistenza. E questa settimana avevo proprio bisogno di Quiete per capire il tempo.
Uno, due, tre, quattro… dodici, tredici e quattordici! E’ mercoledì 11 settembre e sono passati sei giorni da venerdì 6 settembre: levo la fasciatura che ho sull’addome e conto i punti metallici di sutura: sono 14 per una ferita chirurgica di poco meno di 12 centimetri. Certamente non un intervento al cuore come quello di sette ore su mia madre: una semplice ernia inguinale, ma quell’intervento ha il potere di ridurmi all’essenziale e di farmi assaporare il bene attorno a me. Gigi come mai ernia inguinale? Ero in Amazzonia e stavamo per partire con una piccola imbarcazione per una navigazione di due ore sul grande fiume, il Rio Madre de Dios, per visitare la famiglia di Tessy che abbiamo adottato a distanza per 3 anni. Il giovane che guida la piccola imbarcazione deve caricare gasolio e mi offro volontario per prendere la grande tanica di circa 80 litri, penso che sia facile… lui nel frattempo riassetta la barca, con me vi sono anche Olinda ed Hernan, un po’ per il reale bisogno, un po’ per “farmi vedere” scendo dalla barca, sollevo la grande tanica con un grande ed imprevisto sforzo e sento all’inguine un dolore. Passo la grossa tanica al ragazzo e avverto all’inguine un bozzo: porca miseria, si tratta di ernia inguinale destra! Torno in Italia e Stefano Menin il bravo chirurgo della Clinica san Francesco giudica la mia ernia con urgenza, e tra 15 giorni parto per il Kenya… ed in Africa non ci sono ospedali e se l’ernia si incarcera sono casini! E così mi ritrovo a contare 14 punti che mi leveranno il 17 settembre e come cura assoluto riposo, nessuno sforzo. Conto i punti per la medicazione che luccicano alla luce della lampada, i punti metallici vanno accuratamente disinfettati con il betadine, poi l’iniezione di eparina, poi la garza, ecc…
Prima, nel mese di maggio in Colombia, ho perso un dente ed un ottimo dentista qui a Bergamo mi ha sistemato e sta sistemando il casino, poi nell’Amazzonia l’ernia inguinale: il mio corpo sta diventando internazionale, speriamo che ora per un po’ di tempo sia tranquillo. Questo quindi è un diario interiore regalato agli amici, dicevo prima, ma… è il diario di cosa? E’ il diario di una forte esperienza interiore, di muta riconoscenza, di silenziosa gratitudine a Dio ed alle persone che mi ha messo accanto. Ed allora iniziamo, ed iniziamo proprio da un brano di vangelo che scelgo di riportare per esteso, si tratta del Vangelo di Marco e precisamente Mc. 4, 35-41.
La tempesta sedata
35 In quel medesimo giorno, verso sera, disse loro: «Passiamo all’altra riva». 36 E lasciata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui. 37 Nel frattempo si sollevò una gran tempesta di vento e gettava le onde nella barca, tanto che ormai era piena. 38 Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che moriamo?». 39 Destatosi, sgridò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e vi fu grande bonaccia. 40 Poi disse loro: «Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?». 41 E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono?».
Gli attimi prima di entrare in sala operatoria non sono piacevolissimi, la gente si appropria del tuo corpo e come mi confidava Mons. Tino Scotti – che purtroppo ha passato un inferno in ospedale tra la vita e la morte – cominci a vedere il mondo dal basso verso l’alto. Fingo a me stesso di essere tranquillo, ma non lo sono: “Don gigi sei preoccupato? Oggi la tua pressione è a 160, mentre normalmente è a 130… è normale che tu sia agitato” mi dice il medico anestesista che curerà la mia anestesia. Il Dottor Walter Bano è un uomo simpatico e di grande professionalità, la sua lunga esperienza sa amministrare battute ironiche, distensive oppure al contrario con il tono secco e deciso ti fa capire cosa esige da te per la tua salute. Ha ragione il medico di dire che sono preoccupato; anche se faccio finta di essere tranquillo il mio cuore è in subbuglio, ed allora cosa faccio? Quale è l’ultima cosa che faccio prima di entrare in sala operatoria? Vi ricordate il mio vecchio, caro Vangelo? Mi rifugio in Lui, già indosso il camice verde e la cuffia per i capelli: sono pronto a salire sul lettino e cosa faccio?
Prendo il vangelo, apro a caso e quale brano esce? La tempesta sedata! “Taci, calmati!” (Mc. 4,39) Questo urlo di Gesù al lago di Galilea ha il potere di sedurmi, quasi uno choc, e nel cuore entra una profonda quiete. “Cavolo, Gesù, nei momenti cruciali tu ci sei, ti fai sentire in modo evidente: non è una coincidenza, ma una diosincidencia questa! E da quel momento, tutto mi appare diverso ed inizio una commovente esperienza umana e spirituale di gratitudine, di preghiera e di riflessione. Blanca mi saluta ed anche Annalisa mi lascia, arrivo al quartiere operatorio ed il bravo medico anestesista inizia le operazioni per l’iniezione epidurale. Questa tecnica viene eseguita inserendo un ago sottile nell’epidurale, lo spazio tra la colonna vertebrale e il rivestimento esterno del midollo spinale, e iniettando anestetico locale. Lentamente perdo il controllo delle gambe e la sensibilità: seguirò da sveglio l’intervento di quarantacinque minuti perché praticata l’anestesia locale. Attorno a me molte persone si susseguono: medici, infermieri e portantini: tutti animati da professionalità e gentilezza. E’ una esperienza incredibile sentirsi attorno persone che fanno “il tifo per te”, ti incoraggiano, domandano come stai. Arrivo in sala operatoria e sotto la maschera scorgo il volto del Dottor Stefano Menin il chirurgo che mi opererà: è un amico e la sua voce mi da ulteriore tranquillità. “Don gigi andrà tutto bene.”
E così l’intervento ha inizio: la caposala controlla che tutti gli attori dell’intervento siano presenti e che gli strumenti da utilizzare siano disponibili. Tutte queste disposizioni giungono alle mie orecchie e inizio a provare meraviglia, la meraviglia ed il gusto che si provano davanti ad un bellissimo quadro in cui gli elementi sono in armonia: come nell’Ultima Cena di Leonardo, o nel Giudizio universale di Michelangelo colori, forme, luce… Quella meraviglia che si prova ascoltando un’orchestra che magari esegue il meraviglioso Canone di Packebell che sempre mi commuove. Il Canone e Giga in Re maggiore per tre violini e basso ostinato, scritto nel 1680 dal compositore tedesco Johann Pachelbel è davvero magico! Sono solo otto note di contrabbasso, sostenuto da un violoncello, ripetute uguali per ventotto volte. Sopra di loro, un violino esegue la prima variazione, ripresa da un secondo che la amplia; il primo violino avvia la terza variazione, il secondo ripete la seconda e il terzo la prima. Vanno avanti così, in un moto circolare, che descritto sembra la cosa più noiosa che la musica possa concepire, ma che ascoltato è una delle composizioni più apprezzate e conosciute al mondo. Mi sento totalmente impreparato a questa sinfonia suonata per me in sala operatoria… ed inizio a chiedermi: ma che meriti ho io per avere e riceve tutte queste attenzioni? Gusto profondamente la meraviglia ed inizio ad ascoltare il mio cuore che chiede di ringraziare Dio. Oggi è venerdì e la chiesa propone la recita dei misteri dolorosi e così contando con le dita della mano recito il rosario, mi fa compagnia il bel tatuaggio della Madonna Calpestata che ho sulla spalla destra. Prego per i medici, prego per tutto il personale in sala, ma poi la mia preghiera va lontano, lontano: va in Vietnam, va in Iraq, va a Gaza, va in Kenya, va all’ospedale Papa Giovanni di Bergamo, va a Sant’Andrea allo Ionio, va in Brasile, va in Colombia, va in Bolivia, va in Messico e va in Perù. Viaggio con la preghiera in quella sala operatoria mentre medici ed anestesisti curano il mio corpo. I chirurghi parlano anche con me, Stefano mi dice: “Dove vai di bello Gigi alla fine del mese?” “Vado a Garissa in Kenya ai confini con la Somalia: inauguriamo una enorme cisterna di acqua per una scuola cattolica e visitiamo dieci famiglie di bimbe mutilate genitalmente, poi il carcere, poi il campo profughi di Dadab Refugee Camp sul confine con la Somalia. Sento il chirurgo dire ai colleghi che lo aiutano: “Don Gigi viaggia spesso per missioni umanitarie” lo dice quasi con ammirazione e vedere quei grandi professionisti essermi così vicini con la loro alta abilità mi commuove e nel mio rosario dico a Maria tatuata sulla mia spalla: “Una volta Maria mi avrebbero trattato con ogni riguardo perché lavoravo in Segreteria di Stato, per il ruolo ricoperto… ora mi trattano bene perché lavoro con i poveri e per i poveri e questo è di gran lunga più bello ed appagante. Ora non valgo per il ruolo, ma per quello che sono. Spesso si può cadere nell’equivoco di valere per quello che si ha, oppure per il ruolo: per quello che si compie, ma nudo in sala operatoria capisci che il vero valore nella Vita non è quanto hai in tasca, quello che fai, ma quello che sei. E così la sala operatoria si trasforma per me in una chiesa come era avvenuto il 18 luglio 2005 quando in sala operatoria ammiravo l’arte dei medici sul corpo straziato di mia madre, sul suo cuore. Quell’intervento cambiò tutta la mia vita e scrissi un libretto che ancora oggi ha per me del misterioso per l’altissimo numero di copie vendute: “Roccia del mio cuore è Dio”. Tale frase in ebraico l’ho tatuata sulla mia schiena con il giorno della data della mia ordinazione sacerdotale.
Per entrare in sala operatoria ti chiedono di lasciare catenina, anello ecc. in camera, ma il prodigio di un tatuaggio ti permette di avere sempre “le spalle coperte”. Anche se non vedo il tatuaggio lo prego, prego Maria, ricordo che Roccia de mio cuore è solo Dio, ritorno al giorno della mia ordinazione sacerdotale: che esperienza meravigliosa! Profonda, limpida, genuina. Davvero il tavolo operatorio restituisce a te stesso la vita: sei nudo, con le braccia aperte nella sinistra una flebo, nella destra il bracciale per monitor della pressione: non ti viene in mente di valere per ciò che hai perché in quel momento non hai nulla, sei un crocifisso con quelle braccia aperte; non ti viene in mente di valere perché svolgi un ruolo, perché hai perso tutti i ruoli: vali semplicemente per quello che sei e quello che sono è la mia preghiera, il mio essere prete, il mio essere per i poveri. I chirurghi si alternano nel chiedermi come stia… parlano anche di spritz, io dico che in Vietnam ho assaggiato per la prima volta un negroni… sorridono e di nuovo il silenzio dei gesti operatori, dei fili numero zero o doppio zero da usare per fissare la retina protesi. Poi con calma tutti i gesti di sutura dei punti interni prima, fino ad arrivare ai 14 punti metallici esterni che contavo sulla mia ferita poco fa. Non avrei mai immaginato che quell’intervento facesse bene non solo al mio corpo, ma anche al mio spirito: essere al centro di cure tanto alte e tanto grandi. E proprio pensando a questo, inizio a calcolare: quanto costerà un boccettino di questa flebo? Quanto costerà il delicato sistema di anestesia epidurale, quanto costeranno i materiali impiegati come garze, fili, protesi e punti? Ieri Blanca tornando dalla farmacia con alcuni cerotti, betadine… mi dice 38 euro. Ma quanto può essere il costo di tutta questa roba: analisi del sangue, elettrocardiogramma, visite specialistiche, medicine, garze… costo del personale e costo della permanenza in clinica. Voglio azzardare un prezzo solo per fantasticare: un’amica mi dice che il puro intervento in sala operatoria può essere attorno ai 2000 euro, ci voglio aggiungere tutto il resto e simulare un costo totale di Euro 5000. Sono ormai tornato in camera e sto parlando con Annalisa, Blanca e Stefano.
In Africa abbiamo fatto partire un programma di cura che si chiama #AnastasiaProgram (cfr. Luigi Ginami, Anastasia Kenya, #VoltiDiSperanza n.41, pp.43-50 aprile 2023) esso si prefigge di fornire antibiotici a piccoli bambini che per motivi diversi si tagliano, si bruciano e quindi si infettano. Spesso una stupida infezione che si cura con 12 euro di farmaci può uccidere una bambina o un bambino di 3 o 4 anni, semplicemente perché vive in miseria. Anastasia aveva la manina con una brutta infezione a causa di una ustione profonda, se non avessimo pagato 12 euro per gli antibiotici e le cure sarebbe morta per cancrena e sepsi… e non aveva più di tre anni. Ed allora cari amici seguitemi in una drammatica riflessione di responsabilità: Euro 5000 (usati per il mio intervento chirurgico) diviso Euro 12 (antibiotico indispensabile alla vita della piccola Anastasia) equivale a 416 bambini curati da morte sicura e parliamo di bambini di circa 3 anni contro il vecchio don Gigi che ha ben 63 anni anni.
Questa riflessione mi spiazza, mi inchioda con le spalle al muro: perché io ho queste sofisticate cure e 416 bambini nel mondo non sopravvivranno perché non hanno quattro antibiotici? Al rientro a casa letteralmente sorretto nei miei dolorosi passi da Blanca un vero angelo custode mandatomi da mia mamma Santina dal cielo mi raccolgo in profonda preghiera. Celebro la messa per tutti coloro che mi hanno curato, per i miei 416 bambini, per Blanca… ed alcuni giorni dopo con la Signora dell’Ecuador decidiamo di chiudere le nostre giornate leggendo un capitolo del Vangelo di Marco sottolineando tre frasi. Blanca legge lentamente il Vangelo ed io seguo in silenzio nel mio letto con il mio vecchio vangelo tra le mani ed ecco che il primo capitolo di Marco lascia e lancia a me tre frasi che determinano chi sono e non cosa faccio: Marco 1,17: E Gesù disse loro: «Seguitemi, e io vi farò diventare pescatori di uomini». 18 Ed essi, lasciate subito le loro reti, lo seguirono. Poi Marco 1, 34 Guarì molti che erano afflitti da varie malattie e scacciò molti demòni ed infine Marco 1,35 Al mattino si alzò quando ancora era buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava.
Davvero queste frasi sono potenti e scritte per me in questa settimana da Dio: io valgo per quello che sono: e io sono un chiamato da Dio, sono un suo sacerdote dal 21 giugno 1986 (cfr. Mc. 1,17-18) a tale proposito a commento di quel versetto che delinea il mio essere sacerdote mi vengono alla mente le parole della Prefazione al mio ultimo libro Daniel, scritte dal Cardinale Angelo Comastri mentre ero in un carcere peruviano nello scorso agosto, scrive il Porporato: “Ma la cosa che impressiona è la confessione della detenuta Edith. Penso che custodirà gelosamente il regalo del laccio delle scarpe di don Gigi e don Gigi vedrà luccicare come oro il laccio delle scarpe della detenuta. In quel carcere don Gigi ha riscoperto il miracolo e la bellezza del sacerdozio. E’ proprio vero sono sacerdote felice dal 1986! In secondo luogo in questa settimana Gesù mi ha davvero guarito (cfr. Mc. 1,34) con questa operazione chirurgica e nel guarirmi ha consegnato a me una grande responsabilità di gratitudine: curare almeno 416 bambini con 5000 euro, che non so dove troverò, ma sono sicuro che in qualche modo farò! Ed infine Gesù in questa settimana mi ha consegnato un tempo di silenzio e preghiera (cfr. Mc 1,35), mi ha regalato un tempo di Quiete per attribuire al mio vivere maggiore sapienza, come Martini nel 2005 mi suggeriva.
Mentre disinfetto ora la mia ferita e conto con scrupolo i 14 punti metallici che irroro di betadine, penso che questa ferita sia un nuovo tatuaggio della bontà di Dio e con commozione dico: grazie Stefano, grazie Walter, grazie Annalisa, grazie Emanuele, grazie Blanca grazie a tutti voi che avete pregato e che pregate per me: tra 15 giorni ho il viaggio in Kenya mi devo rimettere bene ed essere scrupoloso in questo, ma la frase che anima il 63mo viaggio dice cosi: “Se vuoi essere primo corri da solo, se vuoi arrivare lontano cammina insieme” io non voglio essere il primo io voglio arrivare lontano dando la mano a Stefano, Walter, Annalisa, Emanuele, Blanca… e tutti voi, ma soprattutto ai 416 bambini che possiamo aiutare con un semplice gesto di generosità.