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FONDAZIONE SANTINA FINANZIA ALLEVAMENTO PORCELLINI D’INDIA CARCERE IN PERU’


FONDAZIONE SANTINA FINANZIA ALLEVAMENTO PORCELLINI D’INDIA NEL CARCERE FEMMINILE DI LAMPA SULLE ANDE DEL PERU’
Le carcerate vogliono dare vita ad un allevamento di porcellini d’India e con molto piacere Fondazione Santina ha voluto contribuire all’acquisto degli animali. Il primo porcellino d’India chiamato GIGI è stato regalato dal nostro Presidente alle carcerate. Vi terremo informati dello sviluppo della nostra opera. Dopo il Kenya, dove abbiamo dato vita ad un allevamento di galline in un orfanotrofio, ora in Perù vogliamo aiutare il sorgere di un nuovo allevamento di porcellini d’India. Ecco il video

EDITH
Qui di seguito aggiungiamo un pezzo che riguarda Edith ed il suo coraggio di fede. Si tratta dell’incontro di don gigi con la prigioniera
Sto mettendo mano all’ultimo Report che scrivo nel silenzio di Passaggio Ca’ Longa 3 a Bergamo. Non è esattamente la stessa cosa che scrivere in Perù ed inviare i miei pensieri dall’altra parte del mondo, ma vi è però il pregio di poter scrivere in modo più pacato quanto provo nel forte incontro con le persone, come è stato per me incontrare Edith nel carcere di Lampa. La prigioniera ha quarantaquattro anni ed era il capo indiscusso di una banda dedita alle rapine e all’estorsione, sta scontando in carcere un ergastolo, anche se ha fatto appello contro questa sentenza. In questo anno 2024 l’incontro con le carceri sembra contrassegnare i viaggi e così in gennaio mi trovo nel carcere di Las Cruces in Messico, poi in marzo nel carcere africano di Mtangani ed ora ecco l’incontro con le carcerate di Lampa. Questo carcere lo conosco da molti anni ed è stata per me l’occasione di incontrare nuovamente Jakeline e la sua storia narrata nel libretto a lei dedicato nello scorso anno per la visita in Perù. Tante sono le cose che abbiamo fatto in addirittura tre visite alla prigione grazie alla sorprendente bontà della Direttrice Lorena. Abbiamo cantato Color Esperanza, abbiamo celebrato la Messa, abbiamo dato il via ad un allevamento di porcellini d’India, ma come alcune volte mi succede nelle carceri, vi è un momento che rimane nel mio cuore segreto quanto forte e meraviglioso ed è proprio l’ascolto della Confessione sacramentale, anche lo scorso anno a Challapalca un prigioniero mi aveva chiesto la Confessione e quando la richiesta ti arriva a bassa voce e con le lacrime agli occhi immagini subito che quel momento è decisivo ed importante per il carcerato o la carcerata. Sto per lasciare il carcere di Lampa dopo una giornata intensa nella quale ci eravamo dipinti il volto di verde per indicare il desiderio e la voglia forte di Speranza. Edith mi si avvicina e mi dice: “Padre mi puoi confessare?” Sono nel patio, guardo Lorena, la direttrice del Penale, che ha sentito la richiesta della donna: con un cenno del capo mi dice di sì, anzi mi incoraggia ad ascoltare la Confessione. Ci portiamo in un angolo del cortile, sta scendendo la sera ed il freddo sulle Ande si inizia a sentire, di notte scenderà a meno sei gradi. “Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo…” e la donna tra lacrime di pentimento riversa fuori tutto il suo amaro.

 

Non posso minimamente accennare ai suoi peccati, ma posso descrivere quello che provo. Sono prete felice da 38 anni e qui posso raccontare che il brivido del divino che cambia il cuore è un’esperienza estasiante: solo i sacerdoti che con coraggio leggeranno queste righe potranno intendere. L’assoluzione dei peccati è qualche cosa di tanto grande ed eccelso che inebria ed ogni volta che recito la frase: “Io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”, mi rendo conto di un Mistero di Amore e di Misericordia che dal giorno dell’Ordinazione sacerdotale è riposto in modo indelebile nelle mie mani… Ascolto in silenzio ed ammirazione Edith e le sue parole mi entrano nel cuore custodite dal sigillo sacramentale. Mi sento inadeguato e penso commosso: “Ma questa sera Gesù si serve di me per il perdono dei peccati, conosco tutta la mia miseria, il mio peccato, la mia impurità ed inadeguatezza eppure… devo credere che attraverso il sacramento dell’Ordine questa sera questa donna sarà perdonata! Faccio fatica a credere che Dio in questo momento agisca in me, che io sia “In persona Christi”! Tanti anni fa chiesi a Giovanni Paolo II: “Santo Padre, quale è il giorno più importante della sua vita?” E lui mi rispose: “Don gigi prova ad indovinare…” Subito, senza riflettere dissi: “Io credo che sia il giorno che lo hanno fatto Papa!” Lui sorrise e mi dissi: “Stai sbagliando di grosso: no! Prova di nuovo…” “Bhe allora senz’altro il giorno della sua Ordinazione Episcopale…” “Don gigi hai sbagliato ancora una volta. Sai quale fu? E’ stato il giorno della mia Ordinazione Sacerdotale, perché il Papa è il Vicario di Cristo, ma questa mattina quando io e te abbiamo celebrato la Messa tu ed io agivamo “In persona Christi”! Il Papa ripeté lentamente tale frase chiudendo gli occhi come faceva Lui: “In persona Christi”, “In persona Christi”, “In persona Christi”, vi è molto, ma molto di più agire “In persona Christi” che essere il Vicario di Cristo!” San Giovanni Paolo II aveva ragione ed i brividi che stavo provando nell’ascoltare Edith me lo confermavano. MI piace accostare il momento sacramentale vissuto da Edith alla figura dell’Innominato che tutti conosciamo dal romanzo di Manzoni “I promessi sposi”. Nel romanzo l’Innominato è dapprima un signore prepotente e spietato, mentre poi, dopo la conversione, appare generoso, profondamente buono.

E tuttavia ciò che colpisce in questo personaggio è soprattutto la grande coerenza interiore, la generosità nativa, la grandezza e alterezza, che sono il fondamento del suo carattere non si smentiscono mai. Cattivo e depravato prima, signore della bontà dopo, egli non fa a metà e vuol essere grande sia nel male che nel bene. Perciò la sua conversione non è uno scioglimento artificioso di una situazione ingarbugliata: nella generosità naturale dell’Innominato c’erano già le premesse della sua conversione, che nasce dal di dentro. Edith come l’Innominato, dopo aver toccato il fondo della malvagità, comincia a risalire dalla parte opposta. Leggendo il racconto della conversione non scopriamo sentimenti falsi; anche per Edith nulla è gratuito, ingenuo, forzato in quel magnifico crescendo di impressioni, di moti dell’animo, che mi appaiono coordinati con una logica, con una continuità che non urta il mio senso critico, il nostro bisogno di sincerità e di verità nel succedersi dei fatti intimi. L’Innominato non arriva, però, da solo all’idea di cambiar vita e i suoi pensieri non ci sarebbero forse mai arrivati. Il Manzoni, profondo conoscitore delle crisi di coscienza, tratteggia con grande discrezione, quasi con riverenza l’accavallarsi dei sentimenti: è già molto che alcune strane circostanze abbiano fatto sentire al peccatore l’insofferenza del male fatto in passato e la paura di uno incombente, forse eterno. Nel carcere di Lampa, mi trovavo in qualche modo a riproporre la stupenda pagina del Manzoni, anche  se questa volta l’Innominato si chiamava Edith e il Cardinale Borromeo in modo molto indegno era rappresentato da don Gigi – ma abbiamo già detto che nel sacramento della Confessione non conta la santità del Ministro ma la forza del sacramento stesso! Le parole del Cardinale Borromeo fanno maturare nel Delinquente quel primo vago sentimento di rimorso, trasformando in costruttivo dialogo quello che era all’inizio tormentoso e inquietante soliloquio. E così a Lampa vedevo ripetersi davanti a me una scena potente di Misericordia ed Edith sembrava a me una nuova Innominata… E così come per l’Innominato dopo la terribile notte di angoscia, il nome di Dio torna sulle labbra di Edith in un grido non più di ribellione ma di invocazione: Dio! Dio! Dio! se lo vedessi! Se lo sentissi! Dov’è questo Dio?. Nel carcere di Lampa e non nel romanzo di Manzoni guardo con ammirazione Edith mentre mi parla e piange in un pianto straziante, ma al tempo stesso liberante da macigni…. Mi vengono in mente le parole del Cardinale e le ricompongo per la mia Innominata: “Edith non te lo senti in cuore, che ti opprime, che ti agita, che non ti lascia stare, e nello stesso tempo ti attira, ti fa presentire una speranza di quiete, di consolazione, d’una consolazione che sarà piena, immensa, subito che tu lo riconosca, lo confessi, lo implori? Tali parole trasformano l’inquietudine, il rimorso, l’orrore del male, in desiderio di bene, in ardore di carità, in propositi per il futuro, in speranza. La conversione nasce e si sviluppa nel più profondo dell’uomo, attraverso una lenta, naturale coerente maturazione psicologica… Davvero potente era per me la scena di conversione in quella prigione dimenticata da Dio e dagli uomini. Quella donna delle Ande coraggiosa e forte trasformava quell’incontro nel momento più importante del viaggio. Bella l’inaugurazione della cucina e della lavanderia a Puerto Maldonado, bellissimo l’incontro con 23 famiglie di bambini in miseria e colpiti da diversi disagi per il nostro programma di adozione a distanza, bellissimi giorni come l’incontro con i piccoli nell’asilo nido di Villa San Roman, oppure nelle strade povere di Juliaca, ma per me quella sera è indimenticabile, insuperabile: valeva la pena di prendere l’aereo per giungere a Lei, alla mia Edith ed a questo momento carico di mistero ed emozione. La donna dopo aver ricevuto il perdono di Dio si scioglie in un abbraccio dolcissimo e pieno di lacrime, lacrme che bagnano la mia felpa verde, non mi trattengo mi inginocchio e bacio a lei i piedi e stando in ginocchio davanti a Lei la guardo dal basso all’alto con gli occhi anche io pieni di lacrime e a bassa voce dico a Lei: “Ero in carcere e siete venuti a visitarmi: tu questa sera sei per me Gesù Edith! TU questa sera sei per me il Buon Ladrone, questa sera sei per me l’Innominato… ma questa sera tu sei per me il motivo del mio vivere, del mio sacerdozio: grazie di cuore! Sei per me Speranza Edith perché ai provato sdegno nel vedere il male compiuto ed il coraggio di convertirti, di cambiare! La donna prende il mio viso tra le sue mani e con delicatezza mi asciuga le lacrime e mentre sono in ginocchio anche Lei si inginocchia, si sfila un laccio bianco dalle scarpe da tennis e me lo lega come un braccialetto forte al polso: “Ricordati sempre di me don gigi e di questo prezioso momento, non toglierti questo bracciale…” Mentre lei stringe il laccio attorno al mio polso, io mi slego una scarpa e annodo il mio laccio nero al suo polso e ripeto: “Edith, anche tu non slegare questo braccialetto che ti regalo: tienilo al polso e ricorda che questa sera hai deciso di cambiare vita!” Preghiamo insieme un’Ave Maria mentre la voce del Silenzio rimbomba nel patio ed Edith lentamente pronuncia una frase molto simile a questa: “Grazie Dio! Ti sento nel mio cuore. Stai riprendendo il posto che Tu non avevi perso mai! Tu non avevi perso mai! Tu non avevi perso! Tu non avevi perso mai!” Lorena commossa scatta una bella foto che diventa la copertina di questo ultimo report in cui davvero si celebra l’immesso amore che Dio ha verso ciascuno di noi: l’Innominata delle Ande e l’Innominato del Manzoni hanno un punto in comune forte come una roccia ed è la infinita misericordia di Dio… sto guardando il bracciale e sto piangendo: “Grazie Dio! Ti sento nel mio cuore. Stai riprendendo il posto che Tu non avevi perso mai! Tu non avevi perso mai! Tu non avevi perso! Tu non avevi perso mai!”