Fondazione Santina inaugura in Iraq ad Erbil una nuova infermeria per persone povere ed anziane dell’Istituto delle Suore del Sacro Cuore di Gesù
MOSUL: TONNELLATE DI MACERIE (ESTRATTO DA LUIGI GINAMI DIANA, INSTANT BOOK COLLANA #VOLTIDISPERANZA N. 24 ED MESSAGGERO SETTEMBRE 2019)
Mosul conta un milione di abitanti. Non è piccola ed è, purtroppo, conosciuta in tutto il mondo a motivo del sedicente stato islamico d’Iraq e Siria, ormai più popolarmente ISIS. La città è divisa in due da un grande fiume che si chiama Tigri. Pochi sanno che questa città ha un nome più antico: Ninive, la città nella quale Giona predicò la distruzione: “Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta!”. E così avvenne!
Ero stato a Ninive, scusate a Mosul, nei primi giorni del maggio 2017 durante la guerra. In città ferveva la battaglia e la parte sinistra del fiume era ancora saldamente in mano al califfo Al Bagdhadi. Elicotteri andavano e venivano per bombardare, attacchi suicidi improvvisi… fumi bianchi per armi chimiche e fumi neri per armi convenzionali. Gli edifici saltavano in aria. Celebrai la Messa più bella della mia vita: era il 4 maggio.
Torno a Mosul due anni dopo e sto scrivendo di questa mia visita da Istanbul mentre aspetto il volo della serata per Roma. Ho la barba lunga, manca la doccia da qualche giorno. I cinquanta gradi di caldo mi hanno tolto le forze e a Roma mi riprometto qualche buon pasto e tanto riposo nei primi giorni… ma so che non sarà possibile. La stanchezza offusca le forze ma il ricordo di quanto visto nei giorni scorsi è forte e vince su di me. Scrivo ancora di getto prima che il ricordo si addolcisca e si stemperi in più misurate espressioni. Dopo aver viaggiato in lungo e in largo per la Piana di Ninive dove ho visitato Qaraqosh, Bartella, Karamles, Alqos e dopo la inaugurazione del pozzo d’acqua a Mangesh ecco Mosul. Accompagnato ancora da Ivan, il mio esperto e fidato autista, che nel 2017 mi ci aveva già portato, arriviamo in città. Ho chiesto a preti di accompagnarmi, ma nessuno è ancora tornato in modo permanente nella città islamica. Il vescovo Nizar Semaan, che incontro a brevemente Qaraqosh mi dice chiaramente: “Qui non è sicuro per i cristiani. Gigi, stai molto attento quando arrivi a Mosul, il clima non è a noi favorevole”. Me ne accorgo subito, dagli sguardi diffidenti e ostili della gente semplice che si incontra per le strade. Il centro del nostro viaggio è la moschea di Al Nushra dove il califfo Al Baghdadi, il 10 giugno 2014, aveva proclamato lo stato islamico. Ivan mi dice che è possibile e così il nostro grosso fuoristrada attraversa il ponte sullo splendido Tigri.
FONDAZIONE SANTINA ONLUS ASSOCIAZIONE AMICI DI SANTINA ZUCCHINELLI 45MO VIAGGIO DI SOLIDARIETA’
IL GUSTO DEL FUTURO
Iraq 9 – 15 aprile 2021
Programma provvisorio
Dovute alle forti restrizioni COVID il programma potrebbe avere delle variazioni e comunque sarà svolto in estrema sicurezza
GIORNO | MATTINO | POMERIGGIO – SERA |
Venerdì 9 aprile ITALIA TURCHIA |
– ore 7.00 SANTA MESSA CON CARD. COMASTRI ED INIZIO 45MO VIAGGIO DI SOLIDARIETÀ- lavoro in ufficio | – preparativi bagagli -ore 16.30 partenza in auto per aeroporto Fiumicino e parcheggio – Aeroporto di Roma Fiumicino ore 19.45 TK 1864 Decollo per Istanbul (Turchia) ed arrivo ore 23.30 |
Sabato 10 aprile TURCHIA IRAQ |
– Ore 1,20 TK 804 Decollo da Istanbul ed arrivo a Erbil (Kurdistan iracheno) alle ore 3.45 – trasferimento ad Ankawa e sistemazione. Riposo – pranzo |
– ore 16.00 Incontro con la comunità delle Suore del Sacro Cuore e programmazione del viaggio – S. Messa – Cena e pernottamento |
Domenica 11 aprile KURDISTAN IRACHENO |
– Ore 10,00 Eucaristia ed inaugurazione dei locali dell’infermeria ad Ankawa – Pranzo |
– ore 16.00 Visita alla famiglia di Diana ed incontro con comunità cristiana – Rientro ad Ankawa cena e pernottamento |
Lunedì 12 aprile KURDISTAN IRACHENO |
– Ore 7,30 partenza per Mosul – celebrazione eucaristica e visita resti archeologici di Giona – moschea Al Nhuri |
– a piana di Ninive. Visita a Qaraqosh (Vergine Calpestata) Alqos e Bartella – Rientro ad Ankawa cena e pernottamento |
Martedì 13 aprile KURDISTAN IRACHENO |
– ore 8,00 incontro con la comunità delle Suore del Sacro Cuore e sopraluogo per nuovo progetto di Fondazione Santina | – ore 16.00 celebrazione eucaristica ed inizio visita alle famiglie in sicurezza per 10 adozioni a distanza 2 famiglie. TAMPONE COVID PER RIENTRO IN ITALIA – Rientro ad Ankawa cena e pernottamento |
Mercoledì 14 aprile KURDISTAN IRACHENO |
– Ore 8.00 celebrazione eucaristica e visita a 4 famiglie nuovo programma adozioni a distanza | – visita ad altre 4 famiglie per programma adozioni a distanza – Rientro ad Ankawa cena e pernottamento |
Giovedì 15 aprile IRAQ TURCHIA ITALIA |
– ore 5,00 partenza per aeroporto – Aeroporto di Erbil ore 7,30 TK 805 decollo per Istanbul (Turchia) ed arrivo ore 10,15 Celebrazione eucaristica |
– ore 17,15 TK1863 decollo per Roma Fiumicino ed arrivo ore 18.50. CELEBRAZIONE MESSA DI RINGRAZIAMENTO E CONCLUSIONE 45MO VIAGGIO DI SOLIDARIETA’ |
Il traffico del mattino e i controlli di sicurezza, che ancora oggi si fanno con meticolosità, creano una lunga fila. Piano piano arriva il nostro turno e attraversiamo il fiume… e, da questa parte del fiume, le cose cambiano. Ad accoglierci tonnellate e tonnellate di macerie. Mi sembra di essere a Gaza durante la guerra del 2014, ma moltiplicato per mille. I bombardamenti americani e iracheni, gli attacchi dei peshmerga ai fanatici islamici ha sventrato case, ridotto in polvere grandi edifici. Dove non sono arrivati gli iracheni, gli americani e i peshmerga sono arrivati loro, i tagliagole dell’ISIS. Hanno minato tutto mano mano perdevano terreno: le piccole casette, i bazar, i negozi, le moschee. Quello che vedo davanti a me e che mi mette il capogiro è l’orrore provocato dalla più cieca stupidità, dall’assurdo. Vedete, leggere queste parole nel vostro cellulare o computer non da immediatamente l’idea dell’inferno.
Provate a immaginare: graziose casette distrutte, portici ridotti in macerie, grandi edifici antichi e anche le catapecchie, di chi erano? Dell’ISIS? Proprio no, quegli stronzi venivano da Raqqa! No, quelle case nel centro storico della città di Ninive erano degli abitanti, dei poveri, di chi lì viveva da sempre! Se i cristiani sono cacciati dalla Piana di Ninive i musulmani sciiti, e non sunniti, che popolano l’Iraq si sono trovati in una situazione peggiore: quella del rischiare la vita perché la soldataglia dello Stato islamico abitava, si nascondeva e minava le loro case. E tutta questa gente? Sono degli zombi! Inizio a camminare nelle strade sommerse dalle macerie. È un succedersi di edifici crollati, di case pericolanti in gran parte disabitate perché inagibili. Piano piano, prendendo confidenza con i luoghi, inizio a notare che le macerie sono abitate! La gente più povera è rimasta lì, talvolta vivendo in situazioni di disagio inumano. Le stanze con pareti squarciate e rattoppate con i teloni blu dell’UNHCR diventano abitazioni. Mi guardo in giro. Abbiamo parcheggiato il fuoristrada e stiamo camminando tra le vie e le macerie. Il caldo arriva a 51 gradi e toglie il respiro. Da una casa pericolante esce lui, un musulmano. Ha vicino a sé il figlio più grande, un ragazzino di circa quattordici anni poi, completamente velata, esce la moglie che tiene per mano un marmocchio di cinque o sei anni. La legge coranica impone che l’uomo cammini qualche metro davanti alla donna. Lei è velata e, vedendomi, mostra qualche apprensione. Il marito, dalla lunga barba nera, mi fissa con diffidenza. Ivan interviene con un gentile saluto a stemperare la situazione: “Salam Alehum… Stiamo andando alla moschea di al Nushra, ci indichi la strada?”. Forse preso alla sprovvista l’uomo cambia espressione e ci indica la strada. “Andate a vedere come gli iracheni e gli americani hanno ridotto la moschea schiantando tutte le case attorno! Un terrore incredibile in quei giorni…”. Chiedo a Ivan di domandare di più ma, secco, il mio autista mi zittisce: “Stiamo zitti e non domandare altro. Ci è andata molto bene che non ha chiesto altro e ci ha congedato indicandoci la strada. Qui, Gigi, il sospetto è sempre forte e ricordati che tu sei un occidentale, uno di quelli che qui ha bombardato! Devi sapere che quei fanatici dell’Isis hanno risvegliato nella gente sciita di Mosul un sentimento che si era assopito dai tempi di Saddam. Saddam era di Tigrit, un villaggio non distante da Mual, e la gente amava il suo presidente divenuto per i folli americani nemico e dittatore. La guerra contro l’Iraq aveva portato con sé un odio folle contro gli occidentali a Mosul come risposta alla guerra ingiusta. Poi le cose si erano andate piano piano ridimensionando, ma la recente guerra contro l’ISIS ha fatto rivivere antichi fantasmi”. Proprio in mezzo a queste macerie inizio a capire molto di quella che è definita purtroppo una guerra religiosa. Non voglio togliere nulla al fanatismo di Al Baghdadi, ma da solo quello non basta per creare opposizione. Ivan vuole finire il suo discorso che, nel caldo dei 50 gradi, seguo con difficoltà. Ma il curdo continua a parlare: “Vedi l’opposizione ai cristiani oggi, a Mosul, in effetti nasconde una forte opposizione agli occidentali e, in modo viscerale, contro gli americani… e la presidenza di Trump non è certo un incoraggiamento. Dunque, tornando a noi, quel buon musulmano, a spasso con la sua famigliola tra le macerie della sua Mosul, altro non vede in te che uno di quelli che probabilmente gli ha bombardato la casa… e di conseguenza tu sei un cristiano! Su questi vecchi sentimenti ha fatto leva Al Baghdadi e in pochi mesi, nella città e nella Piana di Ninive, centoventimila cristiani sono stati fatti fuggire. Era il 2014. Non riesco ancora a spiegarmi come cristiani e musulmani, che vivevano in questa città in accordo, in pochi mesi hanno cambiato i loro rapporti. I musulmani hanno sbattuto via da Mosul i cristiani con minacce e con soprusi… e sono tutti sciiti, cioè non la parte di Islam integralista costituita dai sunniti”. “Hai ragione, Ivan. Nel 2013 ho visitato Karbala e Najaf , città sante per gli sciiti. Hai ragione, questo è l’Islam più moderato… Ma ora le cose sembrano radicalmente cambiate”. Davanti a noi c’è una grande ruspa che sta smantellando una casa cadente. La superiamo, giriamo a sinistra ed entriamo in un viottolo dalle case pericolanti. Cerchiamo ombra dall’infuocato sole e percorriamo circa duecento metri. Qui troviamo una macchina perforatrice: stanno cercando di ripristinare una parte di condutture d’acqua. L’elettricità è garantita dai generatori solo per alcune ore e per zone. Solo piccole porzioni di città sono illuminate con i generatori, il resto, qui sulla sinistra del fiume Tigri, sprofonda nel buio per intera notte… Piano piano emergono loro, i disperati di Mosul: bambini, vecchi, giovani che vivono come topi in alcuni tuguri. La mancanza di igiene e l’assenza di acqua provoca frequenti infezioni… In un mercatino aperto comperiamo alcuni rossi caldi pomodori, datteri e due mele verdi forse più per dare qualche cosa alla vecchia che vende le sue verdure che per la fame. Ivan, nello zaino, ha una grossa bottiglia di due litri. Anch’io, nel mio zaino, ne ho un’altra. Ci fermiamo in un luogo all’ombra e cercando di razionare l’acqua, laviamo i tre grossi pomodori e ce li mangiamo. Il sapore è buono ma il caldo li rende non proprio piacevoli da mangiare. Mandiamo giù in tre bocconi caldi i nostri pomodori, sbucciamo le mele e assaggiamo anche qualche dattero… Poi, dopo aver bevuto abbondantemente, ci rimettiamo in marcia: occhiali da sole e cappello a larghe falde. Il caldo del mezzogiorno sembra sopire anche i rumori. La gente sta al riparo nelle case e noi, come due folli, giungiamo alla moschea dalla cupola verde.
Una forte emozione mi invade. Ricordo le immagini della televisione in questi anni. In questi quattro anni era il cuore dello stato islamico e tutto l’occidente guardava alla moschea al Nushra e ad Al Baghdadi come il cuore nero dell’ISIS. Ci arrampichiamo su una casa diroccata dai cui resti del terrazzo possiamo vedere le rovine della moschea bombardata nel 2017. Un senso di tristezza profonda mi invade. Da questo luogo Al Baghdadi comandava di sgozzare i cristiani, di aprire le tombe dei cristiani e di tagliare la testa ai cadaveri. Queste nefandezze le ho viste nel 2017. Guardo Ivan: “Ti ricordi, nel 2017, le tombe cristiane divelte nei nostri cimiteri e le teste dei cadaveri mozzate?”. Il curdo mi risponde: “Come dimenticare? Una schifezza vomitevole, una follia pura! Ti ricordi, Gigi, la prigione delle donne yazite ricavata da una chiesa devastata? Proprio in questa piazza le vendevano in gabbie come capre!”. “Hai ragione! La mia Hazar mi raccontava, con il terrore negli occhi, al campo profughi di Dawdya, di questa piazza e di questa moschea dalla cupola verde. Proprio qui lei è stata venduta e, mentre la portavano a Raqqa, riuscì a scappare!”. Tutti e due diventiamo tristi davanti alle macerie di al Nusra. Ci fermiamo in silenzio e dal silenzio sembrano riemergere le grida invasate dei tagliagola. Sì, perché al Baghdadi comandava di sgozzare con un coltello affilato le vittime. Yazide stuprate, cristiani sgozzati, cadaveri dalla testa mozzata in una follia senza controllo. Siamo qui e il pensiero corre a Raqqa e a Paolo dall’Oglio, al suo desiderio di far ragionare un folle come al Baghdadi. Dall’Oglio conosceva l’Islam e parlava fluentemente l’arabo. Sicuramente la sua strada di pace in Siria non è stata percorsa dalle autorità e purtroppo nemmeno qui. Dove sia finito al Baghdadi nessuno lo sa. Molti dicono che viva nascosto in alcuni di questi tuguri qui a Mosul. Lasciamo i resti della moschea verde e ci dirigiamo verso la chiesa di San Domenico. Una volta, qui, c’erano i domenicani e la chiesa era un piccolo gioiello. Le strade sventrate hanno ancora le scritte con spray nero dell’ISIS inneggianti allo stato islamico. A Mosul nel 2017 le chiese erano completamente aperte, sventrate e alla mercé di tutti. Oggi, invece, sulla riva destra del Tigri, abbiamo trovato le chiese chiuse con catenacci e militari di presidio. Gli scarponi calpestano di tutto: pezzi di stoffa, vetri, materassi, lampadine rotte, tubi divelti, pezzi di mobili… e, in fondo alla strada, appare la chiesetta con la croce divelta e le mura abbattute, il campaniletto spezzato da una cannonata. C’è un soldato. Mentre ci avviciniamo vediamo che ha il volto coperto. Ci avviciniamo troppo e ci punta il fucile contro, ci intima di fermarci e di mostrare bene le mani. Sento il ghiaccio! Mi ricordo dell’israeliano al confine tra Striscia di Gaza e Israele che, nello scorso gennaio, dopo avermi fatto spogliare nudo, apre la porta del bunker puntandomi il kalashnikov al petto. Guardo Ivan. Lui mi dice “Stai calmo, è normale!”. Il giovane soldato dal volto coperto chiede chi siamo. Ivan dice il mio nome, cognome e la nazionalità e poi, lentamente, il suo nome e cognome: “Sono curdo. Sto portando questo prete a vedere la chiesa di San Domenico!”. Ci permette di abbassare le mani e ci chiede i documenti. Poi abbassa l’arma, rimette la sicura e ci dice: “Purtroppo qui non potete entrare”. Si abbassa il passamontagna nero. È un ragazzo di venti anni e fa un lavoro più grande della sua età. Poi prosegue: “Qui, per voi cristiani, proprio qui, non è sicuro, non fermatevi troppo! Sapete perché sono qui? Per impedire che la chiesa sia sventrata, che i suoi marmi siano rubati e le pietre antiche più belle utilizzate per nuove costruzioni…”. Guardo il ragazzo e provo un forte senso di riconoscenza, sta rischiando la sua vita in un luogo islamista del cavolo e non è neppure cristiano, ma musulmano. Lui accenna a un sorriso: “Padre, guarda che noi musulmani non siamo cattivi. Io, ad esempio, sono qui, proteggo la tua chiesa e questo non è visto bene. Devo tenere il volto coperto per poi continuare a vivere la mia vita normale a Mosul. Ti faccio una domanda: ‘Metteresti in pericolo la tua vita per proteggere una moschea?’”. Divento rosso… e, nel mio cuore, la risposta è che probabilmente è l’ultima cosa che farei: rischiare la mia vita per una moschea! Questa incredibile frase detta da un giovane soldato musulmano che, a Mosul, rischia la sua vita per proteggere una chiesa cristiana è stata come una coltellata profonda! Tutta la notte seguente ho pensato alla pazzia e alla bontà di quel ragazzo e, vi confido, ci devo pensare ancora e tanto! La sua azione paradossale mi ricorda la regione di Garissa in Kenya dove un mussulmano che ho incontrato si rifiutò di scendere dal pullman sul quale dovevano rimanere solo i cristiani per essere sterminati. A Garissa quell’uomo disse: “Se ammazzate loro dovete ammazzare anche me!”. Qui, ancora una volta, un giovane musulmano rischia la sua vita per proteggere una chiesa! Il ragazzo mi chiede il numero di Whatsapp. Glielo do. Lui mi promette che mi chiamerà. Qualche parola di inglese la parla! Giuro che mi piacerebbe scrivere un libro su di lui, sul suo coraggio e sulla sua bontà. Il dialogo inter-religioso lo si fa così, tra le rovine di Mosul, non nelle aule universitarie, non in troppe riflessioni! Guardo il bazar improvvisamente diventato un luogo amico. Vedo una ragazza che vende del tè. Lascio Ivan e Amir, così si chiama il ragazzo, prendo tre bicchieri di tè e, con un piccolo vassoio, li porto loro… sorseggiamo il bollente tè alla menta all’ombra, lontani dal sole cocente. Sembra un’assurdità, ma quel tè a Mosul, davanti alle rovine della chiesa di San Domenico, è stato forse il più gustoso tè bevuto nella mia vita. Il ragazzo si rimette il passamontagna. Facciamo un breve video, ci abbracciamo e piano piano torniamo alla jeep. Prima di risalire in macchina, in uno scalcinato bazar, trovo una miracolosa linea wifi con la quale riesco a caricare tre piccoli video in YouTube. Poi spegniamo tutto e ci mettiamo in macchina. Scende il tramonto su Mosul e il fresco dei soli quaranta gradi della sera ci permette di consumare un buon kebab prima di lasciare la città e fare ritorno in Italia. Manca mezz’ora ad atterrare a Fiumicino. Chiudo IPad e appena atterrato, giuro, vi invio questo ultimo report riguardante l’Iraq.